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La Grava Civarola

Il contadino di Castellana che rientrava a tarda ora dalle fatiche dai campi, passando accanto alla Grave, intravedeva - nel'intrico dei rami di leccio che ancora oggi occulatano l'imbocco della cavità, bianche figure diafane sollevarsi lentamente e poi scendere nuovamente nell'abisso.
Ben presto, corse voce che si trattava delle anime inquiete dei suicidi le quali, appesantite dal peccato, non riuscivano a salire in Cielo.

Ma come si era aperta quell'orrenda cavità? Il popolo immaginò si fosse trattato di un qualche castigo divino, giusta punizione per la cattiveria umana.

Si raccontava che un contadino fu travolto nella grave improvvisamente apertasi sotto i suoi piedi, poiché aveva tentato di frodare suo fratello, non vedente, nella divisione dei proventi ricavati dal raccolto del grano.

Altri narravano di un avaro agricoltore del luogo il quale negò l'elemosina di un pugno di grano a Gesù Cristo, apparsogli nelle vesti di un frate. Probabilmente, da questa leggenda derivò il nome di Grava Civaròla, la grave delle civarie, le cibarie.

E poi neri uccelli, gufi e pipistrelli: c'era di che temere in un mondo nel quale il soprannaturale era intimamente legato al quotidiano, un contesto sociale e culturale nel quale, a malapena, si distingueva tra miracolo, magia e realtà.

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