Antonino Piepoli, operatore culturale castellanese, ci scrive per ricordare Mimmo Daoli, il "papà" del World Dance Movement prematuramente scomparso questa mattina. E ben tratteggia, con le sue parole, la figura di Daoli, uomo intelligente e misurato, ironico e coraggioso, capace di guardare avanti e indicare la direzione.
Sinceramente non ricordo quando ho conosciuto Mimmo Daoli per la prima volta. Con Annalisa, sua moglie, invece abbiamo giocato da bambini nei terreni scoscesi della collina della Serritella, per via del fatto che la casa storica di famiglia Bellini confinava con la piccola proprietà di mio zio Costantino e mia zia Anna. La prima frequentazione costante, a parte qualche festa di compleanno tra adolescenti, risale alla fine degli anni novanta, quando assurti agli onori della notorietà locale prima col mensile e poi col settimanale Portagrande, Annalisa intravide in noi pennivendoli di paese, inconoscibili capacità canore, evidenti incapacità danzatorie e scarsissime velleità mnemoniche nel ricordare perfino un “buongiorno Maestà”. Insomma noi che in quegli stessi anni
calcavamo il palcoscenico dell’indimenticato cine teatro Socrate, con improbabili scenette di vita popolare senza lo straccio di un copione, trascorrendo mezzora davanti a un pubblico in delirio, semplicemente trasferendo il nostro capannello da piazza Garibaldi in via Brennero, fummo investiti di ruoli per i quali avevano scritto i mitici Garinei e Giovannini, e messe in scena da mostri sacri come Enrico Montesano e Gigi Proietti. Passata quella stagione post-giovanile di rutilante giovialità teatrale, un punto di svolta per Mimmo, ritengo sia stata l’estate del 2006. Mi spiego meglio, in quell’estate non accadde perfettamente nulla, ma secondo me, il diniego dell’Amministrazione comunale dell’epoca, per motivi strettamente elettorali (si sarebbe votato l’anno successivo e non s’intendeva scompaginare il format delle estati con cavalli e cantanti che tanto movimento avevano dato a Castellana in termini di notorietà e riscontri economici) alla proposta di una piccola stagione teatrale ad Artinscena curata da Enrico Romita e Giusy Frallonardo, scatenò quello che sarebbe accaduto nei 15 anni successivi. Con l’avvento dell’Amministrazione Tricase si cambia tutto, eliminate le fontane in piazza, vengono cancellati vetrina, cavalli e cantanti. Nel torpore di quei mesi, una sorta di Day after per la città, spuntano due funghetti, Hell in the cave e il Wdm. Due eventi che oltre le cataste di legna dell’11 gennaio e le processioni di fine aprile, sono l’unico motivo di interesse culturale e di spettacolo, che tutt’oggi ci fanno conoscere fuori dai nostri confini. E se il primo porta la firma del duo Romita-Frallonardo, il secondo è un progetto ai limiti della follia, che l’altra coppia Daoli-Bellini, mette in cantiere, ovvero far diventare il nostro minuscolo paesino, capitale della danza mondiale. E molti di noi, fino all’altro giorno non avevano capito, quanto Daoli ci fosse in quel progetto. Perché è vero che la maestra di danza è Annalisa, e senza la sua capacità di creare la scuola e Artinscena e aggregare torme di giovani e meno giovani, non ci sarebbe stato il substrato su cui edificare il WDM, ma tutta la parte contabile, amministrativa, logistica, organizzativa, promozionale, pubblicitaria, giornalistica, la curava un imberbe quanto anonimo funzionario di banca, che nel suo cervello, che non si fermava mai, pensava, contava, immaginava, sognava. L’altra mattina l’amica fedele di tante battaglie burocratiche, che hanno portato il Wdm a recepire un finanziamento regionale, fatto più unico che raro nel panorama locale sul fronte culturale, ha usato il termine visionario per definire Mimmo. Beh, nei lunghi pranzi a casa della mamma Cecilia, a disquisire di politica e fatti locali (che Mimmo adorava ascoltare, non perché non li conoscesse già, ma perché gli piaceva come glieli raccontavo io) quando si perdeva nel raccontare come la Puglia e Castellana in particolare, dovevano ragionare per raggiungere l’ambìta chimera della destagionalizzazione e delle presenze turistiche, e contestualmente contava le piastrelle della cucina con lo sguardo, si capiva che quel ragazzo esile, diventato poi papà di due gemelli insperati (amanti del calcio a dispetto della sua incapacità a gestire qualsiasi pallone) orfano di un papà a cui assomigliava molto, vissuto con una
mamma che gli ha insegnato la caparbietà e la coriaceità, non poteva che non essere un visionario.
Non è questa la sede e il momento per raccontare gli ultimi difficili mesi vissuti tra malattia e impegni organizzativi, ma noi della generazione di mezzo, quella del disimpegno da quasi tutto ciò che non fosse divertimento e gioco, possiamo tranquillamente dire ad alta voce, senza nessuna retorica e melassa poetica, che con Mimmo se ne va il migliore di noi.
Antonino Piepoli