A un anno dalla presentazione del libro “Fermentum (Verbali) – Scuola di politica per giovani (Appunti)”, avvenuto nella chiesa di San Francesco d'Assisi il 17 dicembre dello scorso anno, Angelo Valente, curatore del volume, ci invia per la pubblicazione il suo discorso di presentazione.
Saluto tutti. Grazie a tutti.
Chiedo scusa, ma veramente non riesco a capacitarmi di tutto ciò.
Sì, è vero, ho osato. Ed è un osare, “senza titoli, né licenze”, come ebbe a dire, ma per ben altri contesti, don Angelo.
Grazie allora a tutti. Saluto tutti gli amici.
Ringrazio di cuore le autorità qui presenti: grazie a voi per l’onore della vostra presenza.
Grazie a Lei, Eccellenza, monsignor Favale, grazie per il suo saluto scritto, per le sue parole di apprezzamento e di raccomandazione dell’opera.
Grazie, mons. Laterza, per la sua presentazione scritta, segno di stima e conoscenza personale di don Angelo; una conoscenza che, come ebbe a scrivere don Angelo,
“palesa la realtà di un nascere insieme, nel senso che ogni amicizia arricchisce”.
Grazie don Vito per la tua prefazione storico-biografica.
Grazie don Giangiuseppe per il tuo saluto scritto, e per l’accoglienza qui, questa sera, in questa magnifica cornice, tanto cara al nostro don Angelo.
Ringrazio chi ha patrocinato e sostenuto questo evento.
Il Comune, nelle persone qui presenti: grazie vice sindaco, prof.ssa Franca de Bellis, grazie assessore alla cultura, dott. Vanni Sansonetti.
Grazie anche alla Cassa Rurale ed Artigiana di Castellana Grotte, e alle diverse aziende e piccole imprese di Castellana Grotte: insieme avete rinnovato, come un tempo, “Uncuorsolo” di partecipazione ed affetto.
Ma permettetemi di ringraziare altre persone per me importanti.
Innanzitutto, il sacerdote don Giovanni Bianco, di Putignano, ideatore di questa pubblicazione, grande amico ed estimatore di don Angelo. Grazie don Giovannino per
il tuo sostegno e per il tuo incoraggiamento.
Grazie al prof. Vito Sabato, di Putignano, insegnante di religione e formatore di catechisti già dai tempi del nostro indimenticato arciprete don Vincenzo Vitti. Grazie
Vito, per avermi aiutato a realizzare quest’opera, per i tuoi preziosi consigli.
Grazie al nostro padre Pio d’Andola. Grazie padre Pio per la tua collaborazione e la tua pronta disponibilità, così come la dimostrasti a don Angelo, in occasione delle storiche registrazioni delle sue omelie, fatte nella tua radio dell’epoca, Radio Grotte, del nostro Convento.
Grazie all’amico Giangrazio Proietto, già sindaco di Castellana Grotte. Grazie Giangrazio, per il tuo aiuto e la tua vicinanza.
Ho osato, dicevo all’inizio. Questo lavoro, comunque, è il frutto – destinato se volete – di una certa mia antica infatuazione, nonché passione per gli scritti di don Angelo; una passione che risale a più di cinquant’anni fa, quando in questa chiesa iniziavo il mio servizio come organista liturgico. Una passione che mi ha spinto arditamente a quest’impresa.
Più che altro, come curatore di quest’opera, devo dire che ho solo “copiato e incollato” pensieri.
Io, ripeto: presuntuoso e senza nessuna licenza.
E poi, così all’improvviso ... senza un curricolo serio.
Vorrei fuggire all’improvviso, ma sono come preso in una ragnatela: “M’ha preso alla sua ragna, quel furbettell d’amor”, così il poeta.
Del resto, non ho saputo sottrarmi a questo destino, e avanzo pure come pretesto, se pur ancora immodestamente, di aver voluto dare la mia testimonianza di fede.
Ed è per quest’ultima che essenzialmente continuerò ad interessarmi degli scritti di don Angelo, seguendo, questa volta, l’amico sacerdote don Giovanni Bianco, che sta lavorando alla sistemazione degli innumerevoli Commenti ai Vangeli della Domenica, del nostro don Angelo.
Pensate, sono circa 600 Commenti – molti, moltissimi dei quali ancora inediti – che si spera di pubblicare nel 2024, in occasione del centenario della sua nascita.
Ma inizio subito a dire qualcosa sulla prima opera in questione, su Fermentum.
“Fermentum” fu, propriamente, il nome che don Angelo volle assegnare a un “gruppo”, “un gruppo di azione e riflessione cristiana” – così volle che fosse definito –
che fondò nel lontano 1985, con l’intento – questa, noi crediamo, la sua vera ambizione – di costituire una piccola armata, che, preparata di tutto punto – con il Vangelo in una mano e nell’altra il giornale (così diceva don Angelo, citando una famosa frase del teologo Karl Barth) – avrebbe meglio affrontato, quelli che lui stesso chiamava, i filistei della religione, o anche e forse ancor di più, i filistei della verità.
Lo studio e la ricerca della verità fu infatti, lo scopo principale, lo scopo “base” che don Angelo volle assegnare al gruppo; lo scopo che doveva essere, diciamolo con le sue stesse parole, «motivo di coesione tra i membri del gruppo», motivo che avrebbe «orientato l’essere e l’agire del gruppo stesso».
Fermentum è una raccolta di verbali, così come si evince dal titolo.
Sono i verbali scritti dalla maestra Gemma Bini – un tempo segretaria interparrocchiale di Castellana, nonché attiva, “terribile”, come la chiamava don Angelo,
segretaria factotum parrocchiale di san Francesco – i verbali delle lezioni-conversazioni che don Angelo tenne nel suo gruppo, e che si svolsero, per un certo tempo, nella nostra biblioteca comunale, più in là, qui, nella sagrestia di san Francesco.
Questi incontri, queste lezioni – brevi, come dirò – sono oggi presentati, senza i soliti rituali verbalistici, senza particolari di cronaca e nomi di persone, insomma, in forma di piccoli “saggi”.
Ma devo a questo punto, precisare qualcosa.
Dicendo che Fermentum è una raccolta di verbali stilati dalla maestra Gemma Bini, vuol dire allora, che quest’opera non è scritta di pugno da don Angelo, pur essendo in realtà una riproduzione quasi fedele – anche se ridotta, come dicevo prima, e a volte, purtroppo, molto ridotta – dei discorsi da lui stesso pronunciati in quegli incontri, che nessuno, purtroppo ancora, pensò di registrare.
Neanche lui ci pensò, così come trascurò di raccogliere, e quindi pubblicare – come dice, con queste parole il nostro illustre scrittore di storie popolari, Pierino Piepoli – “centinaia e centinaia – migliaia, senza esagerazione – di omelie e ricordini”, e tanto, e diverso altro, ancora.
Riuscì, invece, a stampare – ma solo quattro anni prima della sua morte, e anche grazie alle sollecitazioni dei suoi amici ed estimatori – appena due sillogi di scritti con
annessa, una memorabile conferenza sul Natale: “Rugose di pacata stanchezza”, e “A servizio della parola incarnatasi”, ed infine, il “libretto”: “Lasciarsi vivere da una meta”.
Perciò, oggi: una nutrita Appendice nel nostro libro – sono circa 100 pagine – dove si raccolgono alcune omelie di don Angelo, ma soprattutto, tante curiosità inedite, quali ad esempio delle lettere a personaggi importanti e famosi della chiesa e della cultura – lettere in cui chiedeva conferma di sue “intuizioni deduttive”, o lettere di richiesta di giudizio critico con relativa sua riposta, ed anche, qualche “impertinente” lettera aperta – lettere comunque che forse sarebbe meglio chiamarle epistole – e poi, tanto altro di inedito e sorprendente.
Perciò ancora, si è pensato di promuovere per l’occasione tre raccolte di scritti di don Angelo: per meglio, in definitiva, oggi presentarlo, o ripresentarlo.
1) La silloge degli scritti – «gli scritti più vari» – pubblicati sul noto e storico periodico culturale castellanese, “La Forbice”;
2) la silloge delle sue prose, delle sue “prose poetiche”, edite sul giornale notiziario del nostro Santuario Maria Santissima della Vetrana, “Laudato sie”;
3) la raccolta degli “altissimi” 7 dossier religiosi di don Angelo – così li definì il nostro già citato, Pierino Piepoli – dossier pubblicati negli anni 1966-72, allegati dello storico annuario parrocchiale di san Francesco, “Uncuorsolo”, annuario da lui fondato e diretto.
Diciamo, ora, doverosamente, qualcosa sulla figura di don Angelo, come intellettuale.
Più che altro, dirò, brevemente, ciò che gli altri hanno detto di lui.
Aveva “il dono della scrittura”, così Pierino Piepoli.
Il famoso Leonida Rèpaci, ad un concorso letterario, quello di Viareggio, lo etichettò come “un autentico scrittore”.
Il senatore Luigi Russo ebbe a commentarlo con questo anacoluto – e questo era il complimento preferito di don Angelo – “quando ascolto questo prete, mi costringe a
pensare”.
Infine, il filosofo Fabio Minazzi, che, dopo un’entusiastica conoscenza, lo elogiò in questo modo: “Lei possiede una conoscenza e una cultura assai vasta e veramente
invidiabile. In lei la filosofia fa tutt’uno con il suo corpo e la sua carne”.
Don Angelo scrisse tanto, come dicevamo, e pure di tutto e “per” tutti.
Scrisse, come si potrà riscontrare nella biografia documentata in Fermentum, i già citati 7 dossier; poi, tanti, tantissimi articoli o elzeviri pubblicati su giornali e riviste locali ed anche nazionali, dove interveniva in “dialoghi aperti” con personaggi importanti, su questioni di teologia, di pastorale e di fede, come ad esempio con i famosi padre Vanzan o padre Riccardo Barile; ed ancora, discorsi sul sacerdozio per novelli sacerdoti, e tanti, tanti discorsi di nozze; ma anche, discorsi ... su commissione, e di qualsiasi genere: dal religioso al letterario, al politico – fu anche un punto di riferimento della politica locale, ma, come lui stesso disse, “solo per prender parte alla politica”, giammai, “per aver parte nella politica” –; e poi ancora, testi per lapidi e pergamene – e in italiano e in latino – e una vera infinità di ricordini ed elogi funebri. Pure, infine, con la sua inconfondibileprosa-poetica – sì, aveva una forte vena poetica – cantò la nostra terra, i nostri costumi, i nostri personaggi, realizzando pagine “dal dettato raffinato” – così il senatore Luigi Russo – pagine che furono definite “acquerelli castellanesi”.
Don Angelo fu, quindi, uno scrittore prolifico, e a 360 gradi, come abbiamo detto, anche se non fu uno scrittore di libri: le sue fini osservazioni critiche – e teologiche, e
morali, e letterarie – le possiamo trovare solo sparse qui e là nei suoi scritti.
Essenzialmente, fu un prete che scrisse – questa la missione letteraria a cui si dedicò di più – circa 600 Commenti ai Vangeli, di cui ho accennato prima: 600 versioni scritte delle omelie che lui stesso pronunciò, con qualche variazione, sull’altare, e sino alla fine: 4-5 versioni di uno stesso Vangelo della domenica per ogni domenica di anno liturgico, mai uguali una all’altra. Per questo, si auto-definì un “self-fanta esegeta”.
Ma ora, riprendiamo a dire dei filistei di cui prima.
Dire filistei della religione e della verità, per don Angelo significava dire, di persone aride di spirito, ovvero, di persone:
1) che “sono” per se stesse e non per gli altri,
2) che “hanno” la ricchezza (Mammona), e non Dio.
Spirito – specifichiamo, e citiamo – come “facoltà conforme alla natura umana, che ci fa elevare dalla materialità, e che può rimanere, come dice Sartre, anche se Dio non esistesse”; spirito, come “concetto specifico di scienza morale, che resta possibile” (poi ridiremo) “anche senza l’atteggiamento religioso”.
Orbene, un tale concetto di spirito – senza che spesso ce ne rendiamo conto – lo possiamo ritrovare in una parola di uso molto comune, qual è la parola “cultura”.
La cultura – così don Angelo – differisce, “in senso proprio o se si preferisce, in senso stretto, da civiltà”, ma soprattutto differisce da “istruzione”.
La cultura – egli dice citando la “Gaudium et spes” – è qualcosa di più del semplice “ridurre in potere dell’uomo il cosmo stesso, con la conoscenza e il lavoro”, ma è anche, e soprattutto, “rendere più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni”.
Dunque, “rendere più umana la vita sociale”.
“La cultura”, continua di suo don Angelo, “non può ridursi al semplice acquisto e accumulo di nozioni, soprattutto se finalizzate e strumentalizzate utilitaristicamente”.
“La cultura, appunto, come si diceva, differisce in ciò dall’istruzione.
La cultura esige, allora, “soggetti spiritualmente dotati, e non soltanto protesi allo sfruttamento egoistico immediato, per «fini» egoistici. I fini, a loro volta, non possono
non essere fondati che sui «valori»”, e questi, “sono principi di realtà universale, a cui si tende, e che per loro natura «non si osservano»; principi che danno una certa visione all’esistenza”, e che perciò, specie per noi cristiani, “rimangono assoluti”.
In un’omelia del 2003, poco prima della sua morte, ormai non vedente, don Angelo, al Monastero delle Celestine, così specificava.
“Per cultura si intende, ciò che dà ad ogni popolo, ad ogni persona, il senso dell’esistenza! Perché si vive, che cos’è la vita, qual è il fine del nostro esistere: questa è
la cultura!”
Poi, così concludeva: “Per chi crede la risposta è data dalla religione, dalla fede; per chi non crede è data dalla filosofia: ognuno sceglie e si configura come crede”.
Ma il tema principale, come abbiamo già detto che fu appunto per prima affrontato da don Angelo, è quello della verità.
Citerò, allora, solo delle brevi riflessioni di don Angelo sulla funzione che ha oggi la filosofia, ovvero come viene oggi considerata dai filosofi, con una conseguente amara conclusione sulla verità.
“La filosofia”, egli dice, “non ha mai avuto un campo specifico di conoscenze: ha sempre perseguito i fondamenti e i principi comuni a tutte le scienze. La filosofia ha da
sempre cercato – e per mezzo dell’intelletto – ciò che è alla base della realtà, degli esseri, dell’esistenza”.
Oggi, questo importante strumento, sottolinea don Angelo, “ha perso la sua priorità”, perché “non ci si serve più della funzione intellettiva, bensì della ragione tecnologica”.
V’è differenza – egli dice – tra intelletto e ragione.
“Mentre l’intelletto rappresenta la conoscenza immediata della realtà, la ragione rappresenta la conoscenza discorsiva”.
Del resto, aggiunge, “anche l’intellettualismo attribuisce all’intelligenza il primato nel raggiungimento e nella determinazione della verità".
Ma arriviamo alla conclusione.
“I filosofi moderni, quando si sono accorti che, attraverso le nuove vie della ragione, sono state date le risposte più varie a problemi fondamentali, quali l’esistenza
dell’uomo, l’esistenza di Dio, ecc., hanno rivolto la loro attenzione sul linguaggio”.
“Fondandosi sull’eredità positivistica del linguaggio, inteso come espressione del pensiero, hanno pensato che si potesse creare un linguaggio perfetto, come quello
della matematica".
“In questa prospettiva si è fatta un’affermazione che segna una svolta importante: non si dice più che una determinata espressione è falsa, ma che «non ha senso»".
“Parlare di Dio, oggi – secondo i filosofi del linguaggio – non sarebbe un’espressione falsa, ma «un’espressione senza senso»".
“Il problema di Dio” – conclude don Angelo – e dunque, il problema della verità, “assume oggi un taglio fondamentalmente linguistico”.
Ecco don Angelo, chiaro e tondo.
La riflessione sulla verità, e quindi la riflessione su Dio e sul fenomeno religioso – una riflessione, come abbiamo visto, filosofica – ma le riflessioni in Fermentum si allargano anche ad altri campi – richiesero nel gruppo, diversi anni di applicazione: circa 6 dei 14 totali di attività.
Attività che iniziò il 10 Gennaio del 1985, e si concluse il 15 dicembre del 1998.
Dal settimo anno in poi, il campo di riscontro della visione cristiana si allargò a comprendere ed analizzare il problema importante della fede, dei “sostegni funzionali
dell’atto religioso – come l’istinto, l’intelletto, il sentimento, la volontà, la decisione – poi, il problema della morale, l’amore, ed anche, diversi argomenti di attualità e costume, i più vari, che vanno: da tangentopoli all'educazione sessuale nelle scuole, dalla fecondazione artificiale al digiuno televisivo, dalla democrazia nella Chiesa ai sassi dal cavalcavia.
Permettetemi, ora, una piccola digressione sulla figura di don Angelo.
Don Angelo, aveva il vezzo di dir messa velocemente, saltando le parole (ma sarebbe meglio dire, “mangiandosi” le parole: era infatti soprannominato il “mangiaparole”), accentuando l’ultima sillaba della frase ... per far capire da dove si andasse, creando così frasi compresse dal significato perfettamente verosimile ... quasi poetiche.
Ce n’è una, ad esempio, che si riferisce ad un passo famoso della messa, e che ripeteva sempre (tranne quando non fosse in circostanze troppo compromettenti, come ad esempio concelebrazioni con vescovi, o in presenza di alte autorità).
La frase suona così: “Egli faccia perenne a Te gradito”.
La frase è senz’altro bella, e come abbiamo detto, verosimile; solo che sono sparite, perfettamente mangiate, quattro parole: il complemento di specificazione, “di noi”, e il complemento oggetto, “un sacrificio”.
Ma qui, veramente, è proprio il caso di citare ancora il nostro illustre e indimenticabile, Pierino Piepoli, nelle vesti, ora, di poeta dialettale.
Nessuno, meglio di lui, ha saputo descrivere questo aspetto, unico e “simpatico” di don Angelo.
Leggiamo giusto qualche verso.
“Puro quanno dice messa/va fuscenna mbressa mbressa/e se ci vuoi corre reto/io ti affitto e non ti veto./Mentre tu sopr’al foglietto/na parola o due sei letto,/quello ha già finito il rico/non l’agguanti, caro amico./ E non dico i nalfabeti,/che leggono coi pieti .../ma anco pure i litterati,/tutti restano arretrati! .."..
A onor del vero, bisogna dire però – e “le parole son quel che significano”, come ripeteva spesso don Angelo – che non tutto era letto velocemente.
Mai – e dico mai – don Angelo ha recitato velocemente il Vangelo, così come le altre letture importanti della messa, compresa, ovviamente, la sua tanto attesa “omelia”, che, se “non si capiva”, non era certo per la velocità del suo dire, se mai ... per il suo parlare in modo fievole, nonostante il microfono a collare, ed anche, se proprio vogliamo – e l’abbiamo pur capito – perché “difficile”: sicuramente un po’ difficile – come egli stesso ha scritto – “per le vecchiette e buone madri” ... almeno per quelle aduse agli “esempi del mese di maggio”, ma fortunatamente, non per tutti.
Altro fatto curioso era che spesso, durante l’omelia, si commuoveva.
Si commuoveva, letteralmente fino al pianto, e stentava, quindi a riprendere il discorso, quando gli capitava di parlare di un avvenimento importante, e commovente,
per l’appunto.
Mi ricordo, ad esempio, quando parlò della morte del piccolo Alfredo caduto nel pozzo di Fiumicino, ma anche di altre storie: storie di umanità ferita, storie di amori offesi.
Un don Angelo chiaro ... e profondo, lo troviamo anche in “Scuola di politica per giovani”, ovverosia, nelle poche pagine dell’opuscoletto che segue l’opera Fermentum:
una raccolta di poche schede – di schede orientative, con testi per la discussione – di “appunti” insomma, che don Angelo preparò per dar vita alla scuola.
Una scuola aperta ad “intelligenze e volontà disponibili”, che nacque e crebbe in questa chiesa, a partire dal 30 ottobre 1993, e che durò, se pur a singhiozzo, per circa due anni.
Una scuola che si propose di ribattezzare la giovinezza – “ai giovani”, come lui dice, “non s’addice di far da spettatori” – “perciò, l’urgenza di riscoprire una coscienza politica”, per mirare “alla politica con mezzi – per così dire – «politici»”, ovvero, di “filosofia politica” – egli, difatti, così titola un paragrafo: “il bene comune non è un
discorso storico, ma di filosofia politica” – ma partendo decisamente da un ineludibile presupposto, “fondare il discorso sul messaggio cristiano”.
Un messaggio che reca in sé, appunto, un fondamento di valori forti – oggi forse un po’ snobbati – meglio, “un fondamento di valori assoluti, [assolutamente] capaci di
orientare e fondare l’esistenza".
Don Angelo, prima di tutto, parte con un avviso di papa Pio XI, che don Sturzo amava ripetere: “La politica non è che una forma di carità verso il prossimo”.
Poi, la concordanza col teologo Jean Daniélou “che parlò della preghiera come «atto politico»”.
Infine, l’importante considerazione di Heidegger, che suggeriva che “pensare è pregare”.
Vediamo meglio: “Pregare è pensare a Dio. Ma siccome Dio, per i cristiani, non è solo il sommo bene, ma il Padre; pensare a Dio è pensare al bene di tutti i fratelli. Pensare a Dio, dunque, è pensare al «bene comune»”.
Ecco qualcosa, sull’ineludibile presupposto e motivo, che “non è”, come don Angelo stesso dichiara, “una declinazione spiritualistica”, bensì, “una coerente visione di fede”, per cui, ci propone una sua definizione della politica, “questa: «la politica è il proseguimento della preghiera con altri mezzi»”.
I mezzi, dichiara: li si studierà e cercherà insieme al gruppo, “in una condivisa ricerca valoriale, in un confronto sereno, in un dibattito rispettoso, in un reciproco arricchimento che maturerà l’impegno proposto”.
Citiamo, adesso, qualche breve considerazione di don Angelo, circa i rapporti fondamentali che intercorrono tra fede, politica e cultura.
“La fede è l’assenso ad una persona, ad un fatto, a un’idea, a un valore. È un fatto di risposta e di volontà".
“La politica è un «progetto», un’azione intesa a modificare il mondo sulla base delle conoscenze, e nell’orizzonte di un «fine» da perseguire. Perciò, la politica presuppone una cultura".
“La cultura” – e qui don Angelo, definisce ancora di più il concetto – è quel bagaglio di cognizioni, che è dato: 1) e “dal momento storico della conoscenza dell’uomo, che si acquisisce per mezzo della scienza che accomuna tutti gli uomini, e” 2) “dal momento della visione dell’uomo e del mondo, attorno al quale l’uomo stesso organizza le sue conoscenze".
“Se la conoscenza, però, resta non finalizzata, quindi senza valori, abbiamo l’erudizione, non la cultura".
Per cui – così conclude, coerentemente – “mentre nel mondo laico, i valori necessari vengono dalla cultura; nel mondo cristiano, i valori necessari, vengono dalla fede".
Ma cosa muove l’uomo ai valori?
“Non sono le contingenze materiali a muovere veramente l’uomo ai valori” – riprende gagliardo don Angelo – “bensì, l’esperienza importantissima dell’amore”.
Ed è proprio “in questa traboccante esperienza, che l’uomo tocca la realtà più
profonda della nostra esistenza: il «mistero»”.
“Un mistero che siamo chiamati a porci, e dal quale, nello stesso tempo ne siamo
trascesi”.
L’amore, dunque. La traboccante esperienza dell’amore: il messaggio più importante
del cristianesimo – religione dell’amore.
Qualche breve pensiero di don Angelo su questo tema, tanto trattato e dibattuto in “Fermentum” – ma anche e naturalmente affrontato nelle sue omelie, così come del resto avviene per ogni sacerdote – un tema così connaturato in noi, ma allo stesso tempo, purtroppo, in molte realtà, così disatteso.
“L’amore è una lotta” – stigmatizza don Angelo – e qui, scusate ci vorrebbe un bravo maestro di recitazione, per declamare come si deve, questa prosa poetica.
“L’amore”, continua, “non è mai solo un fatto del cuore. Perché, come il vero amore non conclude in idillici luoghi in disparte, non porta a leggiadre solitarie capanne, lontano da tutto ciò che è disamore, ripulsa o noia, ma al contrario, porta proprio in tutto questo.
Perché l’amore vive confrontandosi, e «lottando» sempre più profondamente, con il disamore, la disattenzione, la ripulsa, la noia”.
E così pure “la preghiera”, “non è mai solo un’oasi di insperati riposi, e di tranquille espansioni, ma una presenza viva di irresistibile speranza. Anche e soprattutto, tra il gelo delle indifferenze, e le realtà defatiganti, «arma» contro le opposte armi, non rifugio dal campo di lotta".
“L’amore è un essere traboccanti, che trabocca a pro dell’altro, e solo in questa misura, a pro di se stesso”. Ma ecco la ciliegina sulla torta.
“Un amore sacrificato è un assurdo in termini: l’amore viene sempre concepito in una visione di letizia, e non di sofferenza. Ma, siccome l’amore è soprattutto bisogno di darsi all’altro, include necessariamente la disponibilità al sacrificio totale, se si presenta la necessità. Così per Cristo, allo stesso modo per il discepolo”.
Siamo all’ultimo tema, all’ultimo problema, cruciale direi, di cui vorrei parlarvi.
Don Angelo ce lo introduce, questa volta, con un fendente.
“Il cristiano non solo ha l’impegno di essere praticante, ma anche di far sì che il cristianesimo diventi cultura”.
Una bella provocazione.
Sì, perché, così come sottilmente commenta, “la nostra epoca è caratterizzata dalla così detta svolta antropologica”, ossia, “dal bisogno d’impostare ogni problema, teorico e pratico, a partire dall’uomo. L’annuncio cristiano deve perciò incarnarsi e confrontarsi in questo specifico ambiente culturale, pena la sua inintelligibilità e la sua
insignificanza".
Perciò, ribadisce: “la missione della chiesa richiede oggi, un maggior impegno intellettuale, da parte di tutti”.
Infatti, “una fede intellettualmente stantia, e poco aperta al confronto”, non solo non è in grado di prendere coscienza “del nuovo che urge ed esplode nel tempo in cui
viviamo”, ma anche, “di ridire la profondità del pensiero cristiano".
Un pensiero che va compreso bene, ed appunto, continuamente approfondito, anche perché, come dice Blaise Pascal, “non è vero che tutto riveli Dio”, così come, al tempo stesso, “non è vero che tutto celi Dio”.
Veniamo così al problema cruciale, forse, al più cruciale dei problemi.
“È sempre vivo, anche nell’ambito della vita cristiana il tentativo di ridurre l’impegno religioso a quello morale”, “tanto è l’influsso platonico e neoplatonico sulla nostra
formazione culturale-religiosa”.
Don Angelo, chiarisce il discorso: riassumiamolo brevemente, partendo con delle definizioni.
“La religione è incontro con Dio”.
“La morale”, invece, “è la scienza della condotta umana: 1) si interessa del perfezionamento dell’uomo, 2) ha origine dal sentimento, e 3) resta possibile anche
senza il sentimento religioso”, come si accennava all’inizio.
“La morale”, dunque, “non ha origine dalla religione, ma ha origine dal sentimento: è il sentimento che provoca la valutazione morale. Questo sentimento è un piacere che proviamo, e ha una qualità importante: è un sentimento spontaneo e disinteressato, infatti, possiamo anche ammirare le azioni virtuose di un nemico”.
La morale, pertanto, ribadisce don Angelo “resta possibile anche senza il sentimento religioso".
“L’origine della religione, invece, è un sentimento interessato: la paura”.
Ma veniamo al nocciolo del problema della morale; morale, che tanta responsabilità ha generato nel corso dei secoli sino a tutt’oggi nella chiesa (vedremo subito perché), o per dirla più schiettamente, che tanta colpa ha ingenerato nella chiesa.
Don Angelo muove con una citazione del filosofo Whitehead.
“La religione fu presentata, come preziosa, per ordinare la vita. La condotta, invece, è un sottoprodotto della religione; un sottoprodotto inevitabile, ma che non costituisce il suo scopo principale. Tutti i grandi scrittori hanno protestato contro la rappresentazione della religione come una semplice sanzione delle regole di condotta: San Paolo insorgeva contro la Legge, e gli ecclesiastici parlavano di sporche ipocrisie della rettitudine. La reazione immediata della natura umana verso la visione religiosa è l’adorazione”.
Condotta e regole di condotta che affondano le loro radici in un importantissimo, imprescindibile antefatto: l’essere differenziato dell’uomo in maschio e femmina.
Dobbiamo insomma dire della sessualità.
Diciamo, allora, delle “implicazioni religiose della sessualità".
Perché “la vita, l’uomo non se la dà da solo, la riceve da altri: un simbolo questo, una premessa per comprendere che la vita, viene da un Altro".
La differenziazione sessuale, perciò, sta ad esprimere, naturalmente e appunto simbolicamente, che l’uomo – di “volontà opposta a Dio” – “è in stato di «dipendenza», e perciò, nel bisogno di trascendenza. La dipendenza, ossia, gli rende manifesto che lui non è tutto – c’è una forza che lo trascende – e che ha bisogno di altro per essere".
“Ha bisogno”, vediamo: 1) “del cibo, per essere; e 2) di amore, per essere pienamente".
“Noi, infatti, ingoiamo del cibo, ma gli «effetti del cibo» ci trascendono; amiamo, ossia «trabocchiamo» (ci riversiamo) negli altri, ma nello stesso tempo, «siamo colmati» dagli altri".
“Ecco perché, le realtà fondamentali della vita hanno necessariamente una lettura e una comprensione simbolica: fanno presente le realtà che significano e, al contempo, le trascendono".
“Mangiare è sempre qualcosa di più di mangiare: è il simbolo”, soprattutto per noi credenti, “dell’alterità di un Dio che è dappertutto, e che ci sostiene nell’esistenza".
“Anche l’unione sessuale è naturalmente carica di questo simbolismo. La stessa insoddisfazione tipica del piacere sessuale”, un’insoddisfazione di ascendenza esistenziale, “sta ad indicare, sia biologicamente che fisiologicamente”, sottolinea don Angelo, “il bisogno di trascendenza dell’uomo. Da ciò, le implicazioni specificatamente religiose delle due anzidette attività dell’esistenza [mangiare e amare], ovvero, le coordinate di ogni vita: essere (= mangiare), e perpetuare l’essere (= procreare)".
“Perciò, sacro banchetto, e, matrimonio religioso: per la particolare natura dell’attività sessuale dell’uomo: l’istinto più violento e più difficile da domare. Per cui la necessità di disciplinare questa attività dell’uomo, che ignora i cicli sessuali dell’animale".
Ecco perché “la religione ha sorretto – ab immemorabili, ossia da sempre – la disciplina morale di detta attività sessuale: che necessariamente è cambiata, e cambierà, per le diverse situazioni in cui verrà a porsi l’esperienza stessa del vivere umano".
“Sarà bene dunque ribadirlo”, così ancora don Angelo, “non è stato il cristianesimo a imbrigliare l’esercizio della sessualità umana".
“Una regolamentazione dell’attività sessuale,” continua, “oltre che come già detto connaturata alla specifica natura della stessa, è conosciuta presso tutte le culture, sia
pure in forme diversissime e contraddittorie. Una disciplina sessuale, come rileva lo stesso Freud, è necessaria per il progresso umano. Le energie di ogni tipo che l’uomo sottrae a queste attività, infatti, vengono e possono venire incanalate verso traguardi sociali".
“Certo, altro è disciplinare e quindi proibire, altro è regolamentare".
“Ma”, chiede don Angelo, “è possibile regolamentare presso i piccoli?
“Ed è possibile, inoltre, regolamentare presso gli adulti, se non si è proibito presso i piccoli?”
“Ecco allora il nascere dei divieti in culture diverse, senza eccessive possibilità di auto-responsabilizzazioni".
“Il cristianesimo”, incalza ancora don Angelo, “ha non solo sorretto, ma supplito le carenze della società. Il fatto, poi, che questa supplenza cristiana, si sia perpetuata in
alcune determinazioni – secondo canoni culturali e non biblici – e che abbia conosciuto una deteriore coloritura per influssi platonici, è un altro discorso, sempre possibile, ma da porre con cautela".
“Il cristianesimo”, dunque, “non ha imbrigliato l’esercizio della sessualità!”, come pure non ha imbrigliato il sentimento nell’istituto del matrimonio; “il matrimonio”, come è stato detto, “salva il sentimento”, ed anche ... la vita.
“Nella concezione cristiana”, riprende don Angelo, “il matrimonio non conosce doveri, né osservati né trasgrediti, ossia, ove c’è veramente amore, non esistono misure
d’amore, né possibili adempimenti soddisfattivi".
“La norma è che essa stessa venga superata, e trascesa".
“L’indissolubilità, per il vangelo, non è una norma di legge: è un bene non impossibile da raggiungere, anche se difficile da mantenere".
“La chiesa, il cristianesimo, ossia, non è indifferente al problema del divorzio, ma non ne può fare una questione di legalità, anche se, data la debolezza della natura umana, può difendere una legislazione appropriata in merito".
Dunque, “anche nel matrimonio – per quanto è stato detto – confluiscono sia implicazioni religiose, che discipline etiche culturali, ossia, fattori non necessariamente
assoluti". Infatti, riprende don Angelo, “nei contesti della economia della redenzione, se vogliamo, il matrimonio non ha un valore assoluto!”
“Ed allora, cosa rimane da chiedersi? Il cristianesimo, che ha posto in luce le esigenze di una disciplina etica, considera dette esigenze: naturali o culturali?”
“Qui è tutto il problema. La risposta” – così continua avvedutamente don Angelo – “non è sempre facile, e non sempre possibile, perché è appunto la cultura (le diverse
situazioni storiche) che aiutano ad approfondire e a conoscere meglio le esigenze naturali. Gli stessi «suggerimenti» di Cristo” – stigmatizza don Angelo – “sono solo
un’esigenza etica, per cui l’uomo deve essere sempre alla ricerca. Il valore assoluto non è una legge giuridica".
“Essere alla ricerca”, allora.
“Il cristiano, deve porsi in ascolto dello Spirito”, anzi, «Il cristiano del futuro o sarà mistico o non sarà neppure cristiano (K. Rahner)» – così nuovamente don Angelo.
“È lo Spirito che chiede alla Chiesa una nuova comprensione di sé, per discernere quale sia la vera osservanza della parola, e quali invece le concomitanti osservanze delle parole della cultura, del costume, delle tradizioni. Lo Spirito chiede il nostro aiuto, all’edificazione della comunità!”
“Il cristiano non deve vedere nel cielo la soluzione ai problemi della terra: Dio non è la risposta ai nostri problemi, ma il problema che torna ad emergere ad ogni risposta".
Si tratta, dunque, di prendere sul serio il nostro destino “– per così dire – «politico»”.
Perché, anche la politica richiama la “verità”.
Perché – ed ora don Angelo cita Benedetto XVI: “L’uomo vuole verità. E verità significa di più di sapere: la conoscenza della verità ha come scopo essenziale, la conoscenza del bene. Altrimenti, come si individuerebbero i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme; criteri di giustizia che servono all’essere buono dell’uomo?”
“Il pericolo” – continua papa Ratzinger – “è che oggi, di fronte alla considerazione della grandezza del suo sapere e potere, l’uomo si arrenda davanti alla questione della verità”.
Sembra ribattere, don Angelo: “Ognuno di noi dovrebbe essere dedito alla verità, esserle totalmente dedito, e rinnegare ciò che le è contraria: la menzogna, l’inganno”.
Ricerchiamo la verità, dunque.
La base la conosciamo, l’amore: ne va della nostra dignità, del nostro futuro.
Ed allora, ricerchiamo l’amore.
“Noi” – come acutamente osserva don Angelo – “quando parliamo di amore, parliamo di slancio impetuoso di passione; riteniamo che sia disdicevole approfondire il nostro slancio, ci limitiamo a godere di questa passione".
“Le donne del Vangelo ci danno una lezione diversa!”
“Siamo dinanzi ad un amore costruito, quindi ad una certa preveggenza, avvedutezza.
Non solo comprano gli oli, ma ragionano di come devono attuare questo amore, ci ragionano su, cercano di attuarlo, notano le difficoltà, se ne fanno un problema,
discutono fra loro".
“Ed è proprio quello che spesso manca a noi che ci affidiamo all'emozione, senza pensare a come superare gli ostacoli. Per loro il volere non basta: il loro volere è
ragionato, motivato".
“Le donne del Vangelo ci danno una lezione diversa!”
Una lezione per tutti: per noi uomini, da sempre prevaricatori, orgogliosi e nefasti; per le donne “per lungo tempo considerate figure sottomesse, e pertanto educate alla sottomissione, al silenzio, alla dolcezza”, per le donne che comunque “devono promuoversi da sole (per non ancora aspettare di essere promosse)” e quindi, oggi, più emancipate e coraggiose, ma ... purtroppo “più aggressive”: c’è un incontro dedicato a questo tema in Fermentum, un tema che don Angelo affrontò e discusse insieme alle agguerrite donne del suo gruppo.
Mettiamoci anche noi, allora, “immodestamente”, se proprio vogliamo ... come don Angelo, “al servizio del pensiero”.
Cerchiamo, con rinnovata volontà, di “pensare”, ossia, come dice ancora don Angelo, di “co-agitare, di confrontare i nostri pensieri con la realtà, i valori, i pensieri degli altri”, soprattutto, noi cristiani, “cerchiamo di confrontare i nostri pensieri con i pensieri di Dio”, vale a dire, cerchiamo “di adeguare i nostri ai Suoi”.
Cioè, “preghiamo”!
Sì, perché – ridiciamolo – “pregare” – per noi cristiani – “è pensare! “Questa è la misura definiente della vita cristiana, che è vita di preghiera: non domandare che i pensieri di Dio si mutino secondo i nostri, ma, al contrario, che i nostri si mutino secondo quelli di Dio”.
“Il resto è grazia, è «mistero», è inno, è gioia della verità, è preludio di vita eterna!”
Dunque: “Un amore costruito ed avveduto, che vada oltre lo slancio impetuoso della passione!”.
Pazientemente, con fede, con speranza, e con la letizia nel cuore.
“Ogni giorno sarà un trionfo soltanto quando il mio sorriso farà nascere altri sorrisi” (Og Mandino).
Questo l’augurio di don Angelo, questo anche il nostro augurio.
Grazie a Dio, grazie a don Angelo, grazie a tutti.