Nominati i vincitori del contest lanciato al BiotechCamp di Bari: dagli studenti, idee brillanti e un mindset improntato alla circolarità e alla tutela ambientale.
La sesta edizione del BiotechCamp si è svolta a Bari – con la collaborazione dell’Università degli studi Aldo Moro – di fronte a circa duecento studenti interessati a capire come le biotecnologie potrebbero entrare nel loro futuro tanto da farne una materia di studi. La partecipazione è stata veramente attiva. Curiosa, interessata a capire fino in fondo le potenzialità delle biotecnologie come parte integrante della nostra vita di tutti i giorni.
Il primo premio è andato a "La sporchia". Il progetto è stato presentato da Fabio Morgese, Carlo Clemente, Asia Giodice, Gabriele Carella, Daniele Lippolis, Giovanni Pesce, studenti della IV As dell’I.I.S.S. "Luigi dell’Erba" di Castellana-Grotte. In Puglia la chiamano sporchia: si tratta di una pianta parassita (nome scientifico orobanche crenata) che cresce nelle piantagioni di fave succhiando proprio la linfa dalle fave. L’idea degli studenti della 4As è quella di sfruttare questa biomassa di scarto al fine di creare un prodotto sostenibile e utile per la società (qui trovate la presentazione). Reperibile senza troppe difficoltà, questa pianta erbacea parassita delle fave viene gustata a tavola. Il gambo, tuttavia, a causa della sua durezza, viene scartato: dal recupero di questa biomassa nasce il progetto. Numerose sono le proprietà benefiche di questo alimento tra cui: proprietà antiossidanti, depurative, antinfiammatorie e calmanti. Inoltre, l’intera pianta della sporchia contiene: fibre alimentari che aumentano il volume delle feci, le ammorbidiscono e ne facilitano il transito intestinale riducendo la stitichezza. Il progetto prevede di creare un integratore di vitamina C con proprietà semi-lassative (lassativo di massa) sotto forma di compresse ottenute mediante lavorazione del gambo di sporchia trasformato in poltiglia, in cui vengono poi inseriti additivi di acido ascorbico (già presente in parte nella sporchia) per conferire l’apporto di vitamina C alla compressa. Per Maurizio Bettiga, responsabile scientifico del contest, il progetto è: “Ottimo e concreto. Manca solo un reality check per capire la disponibilità della materia prima“. Ma il progetto è piaciuto tanto da essere stato nominato vincitore.
Il secondo premio è per "Del latte non si butta via nulla". Il progetto è stato realizzato da Francesco Campanale, Nicolas Di Turi, Gaia Fiore e Ilaria Magistrale della 3C del Liceo scientifico "A. Scacchi" di Bari. Una soluzione che dagli scarti della produzione casearia sviluppa un packaging 100% biodegradabile e compostabile (qui trovate la presentazione). La Puglia è tra i maggiori produttori italiani di prodotti caseari. Tale lavorazione comporta però prodotti di scarto (scotta e latticello) che devono essere smaltiti. Questo è uno tra i maggiori problemi dell’agro-industria in Italia, sia per la grande quantità, sia perché difficilmente smaltibili, a causa dell’elevato carico inquinante. Secondo le stime Istat, degli 8 milioni di tonnellate annue prodotte in Italia il 20% è sottoposto a depurazione, il 35% è utilizzato per l’alimentazione suina e il 45% viene scaricato illegalmente, creando un grave problema ambientale. Da qui l’idea di dare una seconda vita a questi reflui di lavorazione per produrre bioplastiche. A tutto ciò stanno già lavorando i ricercatori di Enea nel progetto, tutto pugliese, Biocosì. Questo ha messo a punto un sistema per riutilizzare l’80% delle acque reflue dell’industria casearia e trasformarle in imballaggi e packaging per la conservazione degli alimenti, come per esempio vaschette per i formaggi o bottiglie per il latte, 100% biodegradabili e compostabili, con lo scopo di contrastare l’inquinamento da plastica. Il progetto ha due obiettivi. In primo luogo, ridurre fino a eliminare i reflui generati dall’industria casearia che ammontano a circa otto milioni di tonnellate: non solo un problema per l’ambiente, ma anche un notevole costo di smaltimento per l’azienda. Il secondo obiettivo è rappresentato dalla lotta alla plastica, poiché l’83% dei rifiuti in plastica censiti nei mari italiani è costituito da packaging, per lo più di plastica usa e getta. Una soluzione al problema dei reflui della filiera lattiero casearia, non più visti come rifiuto, ma come risorsa per la produzione di bioplastica, un modo per contrastare l’inquinamento da plastiche tradizionali. Il frazionamento consente il recupero differenziato di tutte le componenti (quali sieroproteine/peptidi, lattosio e sali minerali) fino all’acqua ultra pura. Analisi del processo Entrambe le frazioni subiscono dei processi fermentativi messi appunto dall’azienda EggPlant e dal Dipartimento del Suolo, della Pianta e degli Alimenti dell’Università degli Studi di Bari. Il processo fermentativo viene avviato attraverso l’inoculo di colture starter ad hoc, ovvero di microrganismi selezionati per le loro specifiche caratteristiche metaboliche. La frazione ricca in siero proteine è fermentata da un batterio lattico in grado di sintetizzare composti funzionali ad attività antipertensiva e antimicrobica (biopeptidi), che può essere reimpiegata in caseificio per la produzione di latticini innovativi a elevata qualità nutrizionale. La frazione ricca in lattosio viene fermentata e processata attraverso un protocollo di fermentazione controllata, che avviene in bioreattori a carico di un microrganismo in grado di sintetizzare una bioplastica biodegradabile. I batteri si nutrono di glucosio, producendo lunghe molecole che possiedono tutte le caratteristiche delle componenti di una plastica biologica. A fine fermentazione è necessario recuperare le cellule del microrganismo ed estrarre la bioplastica in esse accumulata. La redazione e Maurizio Bettiga ritengono che il progetto sia stato ben presentato. E per questo ai ragazzi che lo hanno ideato riserviamo una video intervista nella quale potranno esprimere al meglio cosa li ha affascinati rispetto al BiotechCamp.
Ancora dal ''dell'Erba'', presentato "Posidonia Oceanica". Il progetto è stato presentato da Emmanuel Brunetti, Davide Biasi, Edoardo Onofrio Giodice, Federica Detommaso, Laura Mansueto, Daniele Bovino della 4As dell’I.I.S.S. "Luigi dell’Erba" di Castellana-Grotte. È una pianta acquatica abbondante nelle zone del Mediterraneo, preziosissima per produrre ossigeno, ma anche per la protezione della costa dall’erosione (qui la presentazione). La posidonia viene trasportata dal mare sulle spiagge, accumulandosi (quindi costi di smaltimento) e causando cattivi odori. Da scarto a opportunità: applicazioni tessili; la posidonia può essere utilizzata nella produzione di vestiti di cellulosa. Analogamente al progetto Orange Fiber, che aveva estratto fibre naturali dalle bucce di aggrumi e crearne capi di abbigliamento applicazioni industriali; la posidonia, ricca di lignina, può essere anche utilizzata nella produzione di bioplastiche. Il vantagggio di queste ultime è che degradandosi liberano CO2 che verrà metabolizzato dalla stessa posidonia che produrrà O2. La lignina contenuta, inoltre, rende la posidonia utile come rinforzante nei compositi. Per Maurizio Bettiga il progetto è: “Abbastanza approfondito dal punto di vista tecnico, ma non completamente centrato sui bisogni reali dell’ambiente“.
"Agrumi" è il progetto presentato da Nicoletta Basile, Francesca Cavallo, Palma De Luca, Sofia Delfine, Martina Demarinis, Karola Giannandrea, Tania Lacatena, Giovanna Leoci, Samuela Lovece, Laura Karol Netti della 4Bs dell’I.I.S.S. "Luigi dell’Erba" di Castellana-Grotte.
In ottica di economia circolare, lo scarto degli agrumi (scorze, semi e residui di polpa dalla spremitura), di cui in Italia se ne producono più di 700mila tonnellate l’anno, può essere utilizzato per: ricavare un filato morbido estrarre vitamina C, dunque funzione di antiossidante e stabilizzante estrarre antociani (coloranti idrosolubili, ma con funzione anche protettiva contro la fragilità capillare, processi di invecchiamento, e impiegati come additivi alimentari) Commento di Maurizio Bettiga: “il progetto è molto approfondito dal punto di vista tecnico“.
"La Nostra Puglia" è il progetto presentato da Alessio Amorisco, Laura Daniele, Sveva Ferrannini, Luca Mitaritonna, Michele Stefanachi, Andrea Suriano della 4N del Liceo scientifico A. Scacchi di Bari (qui la presentazione). Dalle olive, caratteristiche della Puglia, nasce l’idea di utilizzare il nocciolo (lo scarto) per ricavare un materiale plastico, di nome oliplast, con cui realizzare una bottiglia biodegradabile che diventerebbe il contenitore per l’olio stesso. Un riutilizzo degli scarti di produzione, il recupero di materia prima direttamente dal rifiuto organico e l’utilizzo di materiali biodegradabili.
"Birra e Mare". Il progetto è stato presentato da Rocco Alessandro Cantacessi, Francesco Gaglione, Shatataraka lo Bianco, Adriano Lofrumento, Alessia Lovero, Marco Nikolaj Mandriota e Marcella Palomba della classe 4O del Liceo scientifico "A. Scacchi" di Bari. Motore economico dell’area pugliese, l’industria della birra produce scarti di lavorazione che ammontano a circa 20 kg per ogni 100 litri di birra prodotta. Questi scarti sono composti dall’85% da trebbie, ossia i residui dell’ammostamento costituiti dalle scorze del malto e da altre parti per le quali non avviene la saccarificazione. Circa il 30% delle trebbie viene fatto essiccare ed è destinato al mercato del mangime per animali. Tutto il resto, purtroppo, finisce nelle discariche, nonostante si tratti di scarti ricchi di fibre e di proteine. Lo scarto di produzione della birra, le trebbie, invece di essere usate direttamente per produrre mangime con una resa scarsa, possono essere utilizzate per alimentare una vasca piena di microbi che scompongono i rifiuti. Il risultato di questo prodotto serve ad alimentare organismi più grandi, come larve e vermi; infine, questi vermi vengono dati come alimenti per i pesci d’allevamento in mare. Vantaggi: riduzione e riciclo scarto produzione creazione di startup innovative (allevamento vermi), riduzione di utilizzo di farine di pesce che danneggiano gli ecosistemi, contribuire a chiudere il ciclo della produzione della birra nel territorio.
"Cozze" è il progetto presentato da Alessandro Diegoli, Davide Palmieri, Andrea Re, Giulia Capurso, Raul Cirillo, Sofia Ciriaco della 3G del Liceo scientifico "A. Scacchi" di Bari. Un prodotto locale. Non essendo commestibili, i loro gusci vengono scartati: da qui l’ipotesi di un loro riutilizzo. I gusci dei molluschi sono composti al 90-95% da carbonato di calcio: la sua estrazione è semplice e si presta a molteplici impieghi in ambito industriale, agricolo, farmaceutico ed edile. Utilizzato per esempio nella produzione di dentifrici, prodotti di bellezza, fertilizzanti, farmaci, integratori alimentari e altro. Ma potrebbero essere utilizzati per creare, sull’esempio di quanto è stato fatto in Sardegna, isolette che fungano da oasi di biodiversità utili alla salvaguardia di uccelli migratori e uccelli marini (molto presenti sul territorio) come per esempio il fratino, un uccello minacciato dalla presenza dell’uomo nei suoi ambienti di nidificazione (tra cui le spiagge per l’appunto). In alternativa potrebbero rappresentare una soluzione per combattere l’erosione, dovuta al mare e alle condizioni atmosferiche, delle coste e di alcune strutture caratteristiche molto presenti nell’Italia meridionale, considerate parte del patrimonio naturale italiano, composte da rocce calcaree.
(Fonte https://www.greenplanner.it, auth. Diego Sevieri)