Padre Vito Gabriele Scagliuso
Nato il 30 gennaio 1944, castellanese, risiede a Nicosia - Cipro in qualità di operatore pastorale. E' volontario nella Custodia Francescana di Terra Santa. Il suo motto è "finché la barca va...".
Castellanesi eccellenti: Padre Vito Scagliuso
4 luglio 2012
immagini di Domenico Ladogana
servizio di Daniela Lovece
I contributi di Padre Vito
Pagare il conto per tutti 24/02/2013
I Partiti e le campagne 24/01/2013
Memoria della Festa delle Fanove 07/01/2013
Natale 2012 da Cipro 12 dicembre 2012
Il calcolo 26 novembre 2012
Il nuovo libro di Padre Vito 16 ottobre 2012
Festa di San Francesco 24 settembre 2012
La festa del Caroseno 8 settembre 2012
La medusa e il granchio 23 agosto 2012
La signora dell'ombrellone accanto 5 agosto 2012
Festa di Sant'Antonio da Padova a Nicosia 15 giugno 2012
Festa della Repubblica Italiana a Cipro 8 giugno 2012
Cyprus National Fair 30 maggio 2012
Il ballottaggio 22 maggio 2012
La vacanza 17 maggio 2012
La mamma e la donna 8 maggio 2012
Viaggio a Salamis, in zona turca 1 maggio 2012
La politica italiana nel gossip cipriota - 26 aprile 2012
La Festa d'Aprile vista dall'isola di Cipro - 14 aprile 2012
Cipro, un'isola generosa - 9 aprile 2012
Mi presento - 9 aprile 2012
Pagare il conto per tutti 24/02/2013
Per gli auguri pasquali di quest’anno mi ha ispirato un avvenimento che proprio in questi giorni sto vivendo con immenso disagio. Mi riferisco alle Elezioni 2013 e alle ricorrenti promesse pre-elettorali. Chi le aveva già fatte nelle Elezioni precedenti ma non le aveva saputo o potuto realizzare... le ha candidamente riproposte con la smemoratezza non proprio candida di chi sa ammannirle in tempi di particolare confusione. “Cosa c’è che non va! Chi ci casca, ci casca. E allora?”. Sembra che dicano da dietro il separè di un sorriso enigmatico e furbo. Così va il mondo!
C’è stato un altro nella Storia che volle pagare per tutti, sacrificando solo se stesso. “Tutte le ossa gli saranno contate” aveva vaticinato per lui David il re salmista. “Dal petto squarciato sgorgarono sangue e acqua” scriverà il testimone oculare del Maesto di Galilea appeso ad un legno sulla sommità del Golgota. Si chiamava Giovanni, a cui il morente affidò sua madre e l’umanità intera. L’elemento più importante che mi fa riflettere sulla Pasqua di quest’anno è l’annichilimento, il sacrificio di chi aveva scelto di pagare con la propria vita quella degli altri. Nessuno può infatti dare nulla a nessuno se non è capace di privarsene lui per primo.
“Per il bene della Chiesa” Papa Benedetto lascia la tiara di Pontefice e ritona un cristiano qualunque che cerca Dio nel silenzio di una cella, nella preghiera e nello studio. I problemi erano diventati tanti e pesanti per lui, ha confessato davanti ai suoi collaboratori attoniti e increduli. Non ce l’avrebbe fatta a risolverli da solo, perchè solo lo avevano laciato di fronte alla responsabilità del governo universale della Chiesa. Avrebbe potuto fingere di nulla e dare anche lui la testimonianza di una morte esemplare secondo i canoni di questi ultimi pontificati. Ma ne avrebbe sofferto la Chiesa, la sposa di Cristo di cui egli era soltanto un servo, il vicario del grande “Servo di Yaveh” morto in croce come un agnello sgozzato per la salvezza di tutti.
Pagare per tutti significa, pagare di persona. Il cronista che raccontò la rinuncia di Papa Celelstino V al papato, ha lasciato scritto che nel momento più toccante della cerimonia il Pontefice spiegò ai cardinali attoniti come quelli di oggi che non si sentiva all’altezza di fare il papa a motivo della sua ignoranza e per l’incapacità di governare. Lui era solo un’umile eremita ed un uomo di preghiera sottratto alla meditazione delle cose eterne per fare il reggitore di una Chiesa tentata dal potere terreno. Si tolse davanti all’altare la tiara papale e la posò per terra. Così fece del piviale e dei paramenti preziosi che aveva addosso. Rimasto con la sua tunica rozza di eremetita, scese i gradini del presbiterio e senza guardare indietro e salutare nessuno si avviò verso la porta. Lo afferrarono i gendarmi e lo misero in una tetra prigione perchè non nuocesse a nessuno. Passato molto tempo dalla sua morte, scoprirono che gli avevano trapassato il cranio con uno spiedo. Era già stato proclamato santo... e non gli aggiunsero il titolo di martire.
Il suo Maestro contemplato e amato nelle grotte solitarie degli Abruzzi, era stato trapassato dai chiodi su una croce ed eliminato anche lui come un malfattore perchè intendeva pagare per tutti non con la facile e vile moneta rubata ad altri ma con l’offerta della sua stessa vita. Lo misero cadavere in una grotta, che sigillarono con un masso pesante. Poi se ne andarono, convinti di esersi finalmente liberati di lui. Ma all’uomo arrivato da Nazareth e messo in croce come un rivoluzionario e un uomo blasfemo si spalancò la porta della Vita Eterna. La pietra si rovesciò, la gloria si manifestò ed i morti che erano in attesa della sua resurrezione si levarono dal sepolcro e lo seguirono verso il trono dell’Altissimo. Il riscatto era stato pagato.
In questi giorni di passione e di disagio per la Chiesa di Cristo, ricordiamoci che non c’è redenzione senza sacrificio e non c’è gloria senza Golgota. Molti falsi profeti ci assicurano sicurezze e un futuro radioso senza sforzi e senza che le ossa vengano spezzate dalla fatica e che dal costato stilli sangue e acqua, come dal pane spezzato dell’Eucaristia stilla la vita ricevuta e donata.
Un grande modello di vita ricevuta e donata fu il Dott. Candia, un facoltoso industriale milanese. “Da ricco che era, si fece povero per arricchire gli altri”. Vendette tutto e si ritirò in un lebbrosario dell’Amazzonia. Il Papa Giovanni Paolo II andò apposta a Manaus per vederlo. Non essendo riuscito a riconoscerlo tra i tanti inservienti del lebbosario, stanco di attendere chiese a gran voce che venisse avanti lui dalla folla dei lebbrosi che assiepavano la chiesa. Allora soltanto il Dott. Candia lasciò ad un altro il malato accasciato su una sedia a rotelle e si avvicinò timidamente all’altare. Lasciato il presbiterio, il papa gli corse incontro e lo abbraccò. Una grande parabola pasquale.
AUGURI
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I Partiti e le campagne 24/01/2013
Credevo che fossero tutti partiti per una lunga vacanza in campagna. Sono invece tornati indietro in anticipo sulle scadenze annunciate. Stufi di battere le mani all’uomo della provvidenza del momento, i politici si sono ri-coalizzati tra le mura delle loro antiche e immutate visioni per contrastare con nuove campagne le cose altrettanto nuove ma amare di chi loro stessi avevano autorizzato a farle.
Obama l’Afroamericano ha eccitato la folla di 800 mila americani assiepati sulla spianata antistante la Casa Bianca con una promessa “liberal” utrasonica per rendersi ancora più competitivo ai Repubblicani. Le coppie dei “fratelli gay e delle sorelle lesbiche”, ha detto, avranno tutti i diritti che si meritano, non uno in meno di quelle delle altre coppie tradizionali, parola di Presidente degli Stati Uniti d’America!. La massa assiepata ha esultato. Le coppie tradizionali presenti - maggioritarie, sembra, anche in quel paese - hanno avvertito i loro diritti “naturali” passare decisamente in coda...almeno fino a festa finita e dimenticata. Dopo l’atteso discoso del presidente Obama, sembrerebbe che prima di lui non ci fossero mai stati in America, come nel resto del mondo così detto civile, leggi e decreti con tanti e chiari riferimenti giuridici a favore di tutti i cittadini, senza distinzione di razza, di sesso e di religione. Questa però dei “diritti uguali per tutti” di Obama verrà da adesso in poi considerata come un diritto a chiamare le coppie di fatto o dello stesso sesso: MATRIMONIO di fatto. La mia professoressa d’Italiano della Prima Media, la Signorina De Pascale già defunta, vi avrebbe trovato una palese improprietà di linguaggio. Una stonatura. Penso anch’io che non basti una promessa del Presidente Obama, sia pure “liberale e liberatoria”, per fare del matrimonio tra persone dello stesso sesso... un MATRIMONIO che ha avuto sempre e in quasi tutte le culture un significato differente da quello che si vorrebbe oggi promuovere. Alla fine, mi dice un amico cipriota, saranno quelli che vivono il matrimonio secondo le leggi antiche, radicate nella maggior parte dei popoli del pianeta, a sentirsi diversi ed emarginati da una minoranza chiassosa ma politicamente egemone. Liberare le persone vittime di qualsiasi discriminazione dal vilipendio di qualche altra parte della popolazione è il compito e il dovere della Politica. E’ triste però consatare che nel vocabolario dei poitici non si sia trovata ancora una definizione “equa e liberale” oltre che liberante da dare a delle situazioni di frontiera come quella di cui sto parlando. Scomodare termini che ebbero ed hanno da secoli un senso ben definito nella cultura della moggior parte dei popoli, sa di mistificazione e alla lunga scontenterebbe proprio quei cittadini a cui sono stati proposti. Ricordo che dopo l’11 settembre molti Americani che avevano perduto la fede la ritrovarono. A chi aggrapparsi in momenti come quello? Ma se è vero che il Signore Iddio, che loro hanno pregato in quei giorni di costernazione, sia lo stesso che abbia detto qualcosa sull’unione di due persone che si amano...che cosa Lui starà pensando oggi del sottograduato di turno che tra quattro anni non farà più il Politico e che forse dalle file dell’opposizione contrasterà questa sua stessa proposta oggi “popolare” ma non troppo “democratica” per consentire a ciascuno il diritto universale ad essere se stesso e il rispetto delle sue scelte di vita nella giustizia e nella pace sociale? Dio lo hanno messo in minoranza!. Una catasrofe lo aveva reso maggioritario dopo che era stato dimenticato per molto tempo. Una fluviale baldoria celebrativa lo ha rimandato in cantina. Dicono che a sostenere l’unione tra due persone deve essere solo l’amore. Quali virtù e quanti saggi ordinamenti sostengono la famiglia tradizionale nelle sue responsabilità sociali, oggi ridimenzionate o cancellate da un individualismo ossessivo che un’opinione pubblica altrettanto ossessionata di novità protegge non al pari ma assurdamente di più delle persone sposate secondo la tradizione che contribuiscono con i loro figli alla crescita globale e armonica della società?.
Anche in Italia i partiti nuovi e vecchi hanno accennato nelle loro campagne pre-elettorali allo steso argomento, ma un pò in sordina per non allarmare il Vaticano, dice qualche giornale. In realtà il motivo è che il voto dei Cattolici ha ancora un peso sulla stadera del Vecchio Stivale. I giornalisti che beccano nel cortile di casa ogni sorta di novità per fare scoop, in questi ultimi giorni hanno messo in grande rilievo la sentenza di un tribunale che asserisce essere i figli di coppie dello stesso sesso non più infelici degli altri che hanno un padre e una madre naturali. Fingono di non aver mai letto un’altra sentenza autorevole e contraria alla nostra, proprio nella patria di Obama.
Si mormora che ne “vedremo ancora di belle”. E il “linguaggio improprio” della De Pascale c’entra anche in questo genere di detti popolari, come su “il mestiere più antico del mondo”. Quando Dio non c’entra, vale solo l’opinione di chi vuole cancellare dalla società perfino i “Generi”, cioè qualsiasi differenza, per fare del mondo una società di eguali... Ma in favore di chi? Il Grande Fratello di George Orwell insegna.
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Memoria della Festa delle Fanove
Anche se si celebra ogni 11 di gennaio e molti Castellanesi l’aspettano come sono abituati ad aspettare le tante altre feste che si succedono nell’arco dell’anno, per chi ricorda solo quelle dell’infanzia... le fanove gli vengono su cariche d’emozione e di nostalgia dal più profondo del cuore più che dalla mente.
La memoria della festa delle fanove si mescola a tanti antichi sapori. Il primo è quello sacro che richiama tutti gli altri, che è la visita della Madonna della Vetrana o Veterana alla sua città, come se avesse deciso fin dall’inizio di voler svernare nei focolari accoglienti delle famiglie castellanesi, aggiungendo al loro il suo calore di madre sollecita che quattro secoli fa liberò la borgata dal flagello della peste. La statua della Protettrice arriva al paese verso mezzogiorno, scortata dai Frati Minori del convento degli Alcantarini costruito sulla vicina collina dove sarebbe stata ritrovata un’icona trecentesca della Vergine a cui il popolo continua a rendere l’annuale tributo di riconoscenza per lo scampato pericolo.
Arrivata alla Gravicella, la statua è attesa dal Sindaco con la Giunta e dall’Arciprete con il suo presbiterio per la cerimonia della consegna delle chiavi della città. Come si fa da secoli, spetta al Sindaco ad appenderle al braccio destro della Madonna. Su quello sinistro continua a tenere stretto il bambino Gesù, che non dà a nessuno. Poi la processione si snoda per le vie del paese tra ali di popolo che in coro canta un’antica canzone: Tu sei del popolo letizia e pace, fonte verace di carità...Si fermerà entro le mura di Castellana una decina di giorni nella Chiesa Madre del paese dove si alterneranno i fedeli alle messe dedicate alla loro Santa Protettrice.
Le fanove o falò si innalzano ancora nei vari quartieri del borgo nativo e sono ogni anno, mi scrivono, sempre più maestose. Una volta non c’erano bandi e gare allettanti per premiare il falò più spettacolare, messo ai voti da una giuria speciale di cittadini. Si può fare tutto e presto con gli annunzi su Internet e sui giornali locali, con scodazzo di fotografi e di cronisti con cine-operatori al seguito. Il ricordo del fuoco acceso per riscaldarsi dal freddo nei giorni della visita della Veterana o perhè illuminasse il paese che non aveva ancora la corrente elettrica, oppure per ricordare il fuoco purificatore di panni, materassi e utensili domestici infettati dalla peste, come storicamente accertato, non crea particolare emozione nei giovani cittadini di oggi.
I bambini di sessant’anni fa hanno conservato la memoria delle lunghe ore passate a contemplare ammaliati le varie fasi del fuoco delle fanove. Il cuore della struttura di tronchi e rami secchi assomigliava quasi ad una nicchia. Appiccato il fuoco, questo cambiava umore man mano che tutta la struttura crepitava di faville. In attesa di dare l’ultimo sguardo ai tizzoni ardenti e alle ceneri non prive di reminiscenze di catechismi tenuti a memoria, la gente passava da una bancarella all’altra, come è d’uso in ogni festa. Ciò che la mia memoria ha registrato di più tra le altre attrazioni di quei tempi sono rimasti i ceci fritti o cotti nella cenere, i fichi secchi, i lupini e le castagne squarciate in mezzo con un segno di croce, messe ad arrostire sulle braci.
A Cipro non ho trovato questa particolare tradizione. Ma mi ha molto rallegrato vedere servito a Natale il piatto delle cartellate e delle pettole sia col vincotto che con il miele... come le faceva mia madre. Ho avuto addirittura il timore di profanarle, toccando la memoria di cose tanto famigliari e antiche. L’ultimo elemento che non posso trascurare della festa delle fanove è la senzazione del freddo, un freddo che mi penetrava nelle ossa, tipico degli inverni pugliesi di una volta o semplicemente fossilizzatisi nel ricordo per essere più memorabili al presente... che ho voluto evocare con parole impastate di tenerezza per i miei amici d’infanzia.
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Natale 2012
Quando nasce un bambino, ogni volta è Natale nel mondo...
Da quando nacque il Santo Bambino di Betlemme ogni bimbo che nasce è il miracolo di mille prospettive e di mille possibilità in un mondo che cambia e che si rinnova con ciascuno di loro.
Il nostro pianeta ha bisogno di geni e di costruttori di un ordine mondiale nuovo, forse migliore di quelli che abbiamo conosciuto in questi ultimi cinquant’anni. Quando il miracolo di una nascita viene impedito, ogni prospettiva ed ogni possibilità di rinnovamento nel mondo muoiono assieme a loro.
Tra i milioni di bimbi non nati quest’anno - che i Maya annunciarono secoli fa come l’ultimo prima della fine del mondo - mi sembra impossibile che non sia stato concepito un solo genio come Leonardo da Vinci o Michelangelo Buonarroti che hanno sorpreso il mondo con la loro arte mirabile. Non sarebbero neppure esistiti se le madri di entrambi li avessero cancellati, perchè illegittimi, dal loro calendario famigliare. Il mondo da quando il grembo delle donne è stato fatto oggetto di programmazione altrui, ha perso quest’anno oltre ai geni che l’avrebbero potuto rinnovare, anche il suo futuro.
Cosa c’entra tutto questo con il Natale del Signore 2012? Penso che c’entri almeno quanto c’entri la preoccupazione di molte persone della propria sorte... se venisse davvero la fine del mondo secondo i Maya ed altri calendari e profezie che non cito. L’obscuramento della dignità della vita umana porta alla preuccupazione della fine di esisteze senza prospettive e senza valori. Chi crede alla nascita del Bimbo di Betlemme non ha la preoccupazione di quelli che non credono in lui e che aspettano con trepidazione la fine di tutto. Chi accoglie con fede e amore il Bimbo di Betlemme non ha paura del futuro, perchè il futuro è nato con lui fin dal concepimento nel grembo accogliente di Maria sua madre. Superata un giorno la barriera della morte, si tornerà a vivere in un altro grembo ed un’altra vita. Per questa ragione, quando scompare dalla terra un santo, il giorno della dipartita segna la sua vera nascita sul calendario della Vita. Dei geni non nati non ne sentiremo più parlare. Non hanno un nome. Ma il loro è scritto lassù a caratteri d’oro e forse occhieggiano luminosi da qualche cometa. Nella notte di Natale alziamo gli occhi anche noi verso quella che apparve sulla grotta di Betlemme quando altri geni coronati, oltre agli umili pastori senza nome ma con il genio della solidarietà spontanea e generosa, vi arrivarono dai quattro angoli del mondo. Ci sentiremo più buoni.
AUGURI, malgrado gli incubi di un mondo in subbuglio. Abbiamo fiducia in colui che ha detto: “Non abbiate paura. Io ho vinto il mondo”. Si chiamava Gesù, il bambino che riuscì a nascere a Betlemme di Giudea più di due millenni fa e che torna a nascere di nuovo nel natale di ogni bambino.
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Il calcolo
Le analisi mediche che sto facendo a Nicosia (capitale dell’isola di Cipro) per capire se c’e’ un calcolo nell’unico rene che ho, mi hanno suggerito una riflessione un po’ piu’ ampia che propongo anche ai miei lettori castellanesi.
Che ci sia o no questo benedetto calcolo... non ha molta importanza alla mia eta’, quando i raggi-X scoprono ben altre cose, con traccie di vecchie malattie trascurate e di avvisaglie di nuove che potrebbero accorciare di qualche tempo un’esistenza spesa gia’ abbondantemente, cosi’ mi hanno detto, per gli altri. I polmoni hanno rivelato una carica di polvere non da sparo e neppure da ciminiera o da tabacco ma solo di reminiscenze di strade non asfaltate nelle lontane savane dell’Asia e dell’ Africa, nonche’ la sabbia del deserto di Giuda, del Golan in Israele e l’ultima - molto piu’ fine di natura vulcanica - dell’isola in cui vivo. Se cio’ non bastasse, dei noduli strani chiedono anch’essi di essere esaminati con raggi particolari (biopsia) se conviene toglierli subito o non sono troppo pericolosi e percio’ non occorre farci caso.
Con la scoperta della “calcolatrice” - e allargo il raggio della mia riflessione - le statistiche dicono che i suoi consumatori superano di molto il numero dei divoratori di tutti i programmi internet messi insieme. Oggi si fanno i conti su mille cose. Sfuggono a questa logica i calcoli per misurare la distanza tra il tempo e l’eternita’. Ogni buon cristiano sa di appartenere a quest’ultima e definitiva realta’... ma e’ tentato da troppi condizionamenti ed e’ capace di fare i suoi calcoli solo per un periodo di tempo molto limitato. Per dargli importanza, e un certo decoro, questo periodo di tempo lo hanno chiamato “FUTURO”. Calcolare la vita per un futuro migliore e’ cio’ che assilla oggi la maggior parte degli esseri umani. Si capisce chiaramente che ci aspettiamo un avvenire migliore per noi stessi, per i nostri figli e per la nostra famiglia...se ce l’abbiamo. Spesso ci prende l’affanno nel fare e nel rifare i calcoli che non sempre ci regalano risultati soddisfacenti.
Dopo una vita da “free lance” in quattro diversii continenti, il mio pallottoliere si sta inceppando. A cosa e’ servito contare e ricontare i profitti di varie campagne in differenti stagioni della vita se ho perso il conto dell’altro versante, quello della vita eterna, ci dicevano una volta, che non e‘ racchiusa tra due parentesi ravvicinate ed effimere? Cosa ho prodotto per il meglo che verra’ dopo? Se e’ vero quello che mia madre mi ha insegnato sulle sue ginocchia, “che non concluderemo tutto su questo versante”, allora nella frazione di futuro che ancora mi resta sara’ verso l’altro versante, che lei chiamava eternita’, che devo orientare i miei calcoli.
Ci sara’ o non ci sara’ un calcolo nel mio unico rene di destra? Cosa calcoleranno i medici di fronte ad una scoperta che potrebbe accorciare il tragitto verso un avvenire terreno paralizzato tra due parentesi che molti esorcizzano con il termine “FUTURO” facendone quasi un mito?. L’eterno e’ gia’ in me, perche’ sento e credo che vengo dall’eterno. Mi ero pero’ impegnato anch’io a cercare ansiosamente un futuro e delle mete intermedie che gli rassomigliassero per assicurarmi un’esistenza felice o almeno soddisfacente, come la desiderano tutti. Ora che la meta sembra vicina a quel versante dell’esistenza dove i raggi-X del mio ospedale verranno sostituiti da altre irradiazioni di incalcolabile splendore, non devo preoccuparmi piu’ di tanto dei raggi-X dell’Ospedale a cui devo comunque sottomettermi ogni tanto, come fa un qualunque signor X, per una qualunque esistenza X .
Ringrazio il mio “Datore di lavoro” che con uno scossone come questo ha fatto girare di 360 gradi il mio interesse verso un futuro diverso da quello prigioniero del tempo. So che la mia vita e’ stata un dono e donata per vocazione. Spero che i calcoli mi rivelino anche un conto consistente nella banca dell’altro versante, senza il quale San Pietro resterebbe di pietra, una statua messa di traverso sulla soglia e non mi lascerebbe passare dall’altra parte.
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Il nuovo libro di Padre Vito - 16 ottobre 2012
Un libro nuovo è come un bimbo che nasce dopo una lunga gestazione impastata di affetto, di attesa, di speranza e di gioia. Un libro nuovo mi è stato inviato da un caro amico calabrese, scrittore di racconti e di storie cariche di pathos e di sorprese. L'ultimo si intitola "Al di la' del tempo" e parla di una vicenda al limite del surreale perché la protagonista, che porta il nome di Chiara, appare e scompare come una creatura reincarnata dopo varie migliaia di anni. Alla fine del racconto, un libro di poco piu' di cento pagine, il lettore e' disposto a leggerlo di nuovo. L'Autore, che e' anche il mio critico letterario, me ne ha mandato una copia con dedica: A P. Vito con stima e amicizia. Firmato: Giuseppe Notaro. Ora lui aspetta il mio nuovo libro, come spesso succede nelle gare letterarie tra amici, che sta per uscire con i tipi di Longo di Castellana Grotte. Perche' ancora a Castellana e in quella tipografia? Semplicemente per una sorta di reicarnazione anche per il mio lavoro, che torna al primo libro stampato la' quando la Tipografia si chiamava Pascale. Fu il primo libro che pubblicai a Castellana, il mio paese. Non era un racconto o un libro di poesie che avevo gia' pubblicato a Parma, ma la presentazione della mia prima missione in Sierra Leone con un co-autore molto piu' famoso e piu' fecondo di me, il P. Silvano Garello che lavora da qualche decennio in Bangladesh, Direttore della rivista per gli studenti saveriani del quale ero stato il suo primo collaboratore come articolista, grafico e disegnatore dal 1964 al 1970. L'ultimo libro di cui vi parlo, e che e' in stampa, vede la luce nel primo aniversario della canonizzazione del mio Fondatore San Guido Maria Conforti. Si compone di due parti: la prima disegna la figura del santo vescovo di Parma, come persona che attrasse con il suo fascino tanti sacerdoti e seminaristi alla sua sequela nell'Istituto che aveva fondato a Parma chiamandolo "Seminario Emiliano per le Missioni". Da Castellana partimmo in due: P. Viito che vi scrive questa pagina e Padre Gianvito Nitti, rubato all'Ospedale di Castellana Grotte quando vi lavorava gia' come infermiere professionale. Altri lasciarono il seminario di Molfetta negli anni sessanta, molti dei quali sono ancora viventi. E' interessante nel libro la menzione di tre dei nostri vescovi conversanesi. Quelli della mia adolescenza, che restano ancora nella memoria di coloro che li hanno conosciuto, furono Mons. Gregorio Falconieri e Mons. Antonio D'Erchia che avevano incontrato di persona il mio Fondatore San Guido Maria Conforti. E' citato nel libro anche il vescovo Domenico Padovano per aver stimato molto i Saveriani suoi amici e che era andato a fare loro visita sia in Bangladesh che in Indonesia. La mia storia parte dallo studio privato del nostro vescovo Gregorio nell'estate del 1963. Mi benedisse prima della partenza per il noviziato dei Saveriani in Nizza Monferrato. Mons. D'Erchia mi ordino' sacerdote e mi diede il crocifisso dei missionari partenti sia per l'Indonesia che per la Sierra Leone. Mons. Padovano mi gratifica ancora della sua amicizia e del sostegno di fratello nel sacerdozio dopo le tristi vicende della guerra e della distruzione delle opere della Missione di Lungi, mia ultima missione africana. La prima parte continua con il tratteggiare la figura del Conforti, il Santo della Mondialita', come viene presentato oggi dopo la sua canonizzazione in Piazza san Pietro avvenuta il 23 ottobre del 2011. Segue una lunga appendice a questa trattazione "nuova" per i Saveriani, come afferma l'autore della Presentazione del libro P. Augusto Luca, autorevole biografo del Santo Conforti. La seconda parte, apparentemente estranea alla prima, tratta del lavoro dei missionari del Conforti in un mondo che cambia. Evidentemente l'autore difende una sua tesi, che e' questa: Oggi il mondo ci viene in casa. Nella piccola isola di Cipro, dove egli lavora come volontario della Custodia di Terra Santa, ci sono migliaia di migranti dell'Asia, dell'Africa e delle Americhe, oltre ai cittadini di quest'isola divisi tra Greci Ortodossi, Musulmani, Cristiani Maroniti, Armeni, Copti e Latino-Cattolici. Una Missione vera in questo nostro mondo che cambia in continuazione e che è diventato un "villaggio globale". La "MONDIALITA", sentita dal Conforti, e' apertura a tutte le culture e a tutti i popoli del pianeta "per fare del mondo una sola famiglia". Questo sogno sta realizzandosi a Cipro, un'interessante e fecoda realta' "multiculturale". Le Lettere e gli Articoli - parte dei quali gia' pubblicati su questo sito - vi portino in casa una BOCCATA DI UNIVERSALITA'. Il mio ultimo libro verra' fatto conoscere agli amici attraverso il Pivot cittadino e la Libreria Piepoli.
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La festa di San Francesco - 24 settembre 2012
Doveva essere capitato poco prima degli anni cinquanta. Ero un ragazzino ancora attaccato alla gonna di mia madre e al calesse di mio nonno che durante le belle stagioni passava a prendermi in via Federico di Savevia,13 per portarmi in campagna. Dovevo alzarmi presto e mezzo addormentato per far contento il “nome”, quello di un personaggio ben noto alle cronache della città come esperto potatore e capo di squadre di potatori famosi in tutta la contrada.
In quello stesso periodo capitò una festa di San Francesco che restò famosa e memorabile non solo ai salumieri e ai fornai che avevano allestito vicino al convento degli Alcantarini tutto il loro arsenale da campagna… e perdettero tutto in non più di un’ora di temporale, ma anche per i pellegrini che dopo la messa e la processione avvevano pianificato anche loro di trasformarsi in avventori di panini imbottiti, del nobile vino locale e di tutto quello che allora una fiera tradizionale poteva offrire in onore del santo del giorno, figuriamoci per quello che portava il nome di San Francesco di Assisi.
Quando dopo la Comunione scoppiò il temporale, noi bambini rimanemmo ancora più attaccati alla gonna di mamma Anna Carmela, comprese le mie sorelle di qualche anno più grandicelle. Per i vivandieri non ci fu alcun scampo. Riuscirono a salvare solo quello che avevano addosso tornando inzuppati fradici a casa chi con un salame di salvataggio tra le braccia, chi con una pezza di formaggio o di cacio ricotta nel grembiule, chi con un rotolo di mortadella locale con tanto d‘occhi verdi oppure con le “brasciole” scampate alla furia della gente che da devota era diventata aggressiva. Qualche ricordo della festa volevano portarselo a casa anche loro, allungando perfino le mani e le braccia “pietose” su quanto stava rotolando giù per la collina verso La Gravicella.
Non tutti trovarono rifugio nella chiesa. Bussarono perciò al convento perché aprissero la porta esterna del chiostro. Grida di qua, grida di là, i frati dalla regola stretta non volevano aprirla a motivo della clausura. Intanto pioveva come Dio la menava. L’acqua scorreva a torrenti per le strade. Da quella di via Alberobello giungeva un fiume in piena e la pioggia fitta come le cateratte del Niagara trasformava le cose e le persone in cipolline in umido che perdevano ora un pezzo di camicia, ora un cappello o solo un velo devoto che avrebbero ritrovato all’indomani sul ramo di un albero o azzoppati in qualche parte della “scarpata”, gli allora canali di scorrimento che non erano mai stati in grado di far scorrere la furia dell’acqua.
Quando tutto finì iniziarono i commenti. Ne parlò l’Olmo, il giornale locale, la Gazzetta di Bari e la Voce Serafica della Provincia Francescana di San Michele Arcangelo di Puglia. Forse fu allora che il Sindaco cominciò a pensare ad allargare i margini delle vie fognarie e a provvedere le strade di Castellana, allora tutte in discesa verso il Lago di Porta Grande, con grate di raccolta dell’acqua nei nuovi canali sotterranei. Un’opera lodevolissima il cui progetto passerà da sindaco a sindaco fino alla sua esecuzione. Sessant’anni dopo.
Chi scrive non ricorda altri di temporali “memorabili” come questo. Di processioni ne vedrà ancora tante e di “fiere” che anzicchè avventarsi si lasceranno avventare dagli ingordi cittadini. Nell’ultima festa, all’età di 67 anni, ha condiviso un panino imbottito e un bicchiero di vino nostrano anche lui col Sindaco Franco della Città e con il Presidente della Banca Rurale e Artigiana di Castellana Grotte Dell’Erba. In onore di San Francesco, naturalmente. Il vostro compaesano
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La festa del Caroseno - 8 settembre 2012
I Castellanesi che vivono all’estero da parecchi anni e che in certe occasioni amano rovistare nei loro ricordi, riconoscono immediatamente la grande differenza che persiste tra la festa del Caroseno che capita l’8 settembre e quella della Veterana della Città che porta il nome di Festa di Aprile di cui ho inviato una “nota” qualche mese fa.
Come per gli antichi - pagani primi e cristiani dopo - le feste erano tutte legate alle stagioni o a qualche evento importante come la data di un santo, quella del Caroseno era legata alla stagione dei primi lavori della campagna dopo la trebbiatura del grano e i primi raccolti autunnali. La Chiesa attuale, ridalente al tardo '700, doveva essere sorta sulla precedente, o ingrandita da cappella rurale che era stata sulla via di Putignano al luogo di culto di una comunità cristiana in crescita.
Nella memoria di un bambino di oltre sessant’anni fa la cosa che gli si affacciava subito alla mente erano le scale, quelle dei potatori degli alberi d’olivo, dei mandorli, dei ciliegi e di altri alberi da frutta allineate sul muro esterno della chiesa. Le scale mi avevano affascinato al punto che una volta le contai: erano 187. I giovani figli dei contadini vendevano in questa occasione la “lumma” degli alberi di mandorlo, una gelatina gommosa che sarebbe poi stata trasformata in colla. I loro padri vendevano invece il frutto a volte magro ma senpre sostanzioso del raccolto del mandarlo. Ricordo le macchine “scazzamenele” di Centrone a pochi passi dalla mia casa di via Giacomo Leopardi. E poi tanti “cecenati” di argilla cotta nelle fornaci che i contadini usavano per bere acqua fresca durante le ore calde e lunghe dell’estate. La forma della brocca era molto originale e difficile da dimenticare. Assomigliava al ventre di una zucca che terminava con un collo lungo provvisto di una apertura col labbro allargato come quelle delle anfore antiche, i vasi greci che sono stati forse i prototopi dei “cecenati”. Un manico della stessa natura congiungeva la pancia della brocca con l’inizio del collo. Una varietà dello stesso soggetto era venduta in miniatura sulle bancarelle misti alle pignatte mignon, ai tegamini e alle ocarine per i suonatori in erba.
La festa del Caroseno era famosa a quei tempi anche per la sagra della focaccia, della mortadella e del formaggio “punte”, per il quale impazzivano tutti i castellanesi, a cominciare da uno di quelli che lo vendeva, il famoso e rubicondo pizzicagnolo Tortorella. Era una sorta di gorgonzola senza la caratteristiva tinteggiatura verde-muffa del gorgonzola. Possedeva però una caratteristica che ai giorni d’oggi non piace e fa storcere la faccia alla maggior parte dei cittadini, intendo quei deliziosi vermicelli che si annidavano numerosi tra una piega e l’altra e tra un buco e l’altro del formaggio. Poiché una sagra è una sagra che deve attirare visitatori da altre parti, qualcuno lanciò la moda del pollo allo spiedo. Così la fiera cedette il passo al signor pollo e cancellò dalla memoria collettiva il formaggio coi vermi, la mortadella che piace finanche a Sofia Loren e la focaccia che piace ancora ai Castellanesi di questo millennio.
A me, che non coltivo particolari nostalgie, piace anche il pollo e il business che si porta dietro. Non mi piace una cosa soltanto…Che i polli vengano esposti in vetrina e preparati con tanta fantasia e umorismo da “shcattare dal ridere” solo per vincere un premio. Non sono un animalista convinto, ma se il pollo aveva avuto davvero una certa anima prima, perché ridicolizzarlo dopo con nudità scoperte o in costume, come le mummie dei monaci lasciate esposte nelle nicchie dei Purgatori con l’immancabile e indiscutibile saio?
Fino ad oggi non è mai successo che qualcuno di quei monaci e le sagome dei polli da vetrina si siano mai ribellati. Perciò… la sagra può continuare. Alla processione della sera la Vergine col bambino arriverà fino a Piazza Garibaldi e poi risalirà per via Roma fino alla parrocchia a Lei intitolata dove i fuochi d’artificio bruceranno tutte le voglie cattive e le intemperanze del giorno con la benidzione solenne di Don Francesco.
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La medusa e il granchio - 23 agosto 2012
C’era non molto tempo fa una strana coppia di animali marini o, meglio, da spiaggia perché avevano l’abitudine di fare compagnia ai bagnanti sulla costa a cinque stelle di Porto Paradiso di Monopoli. Di paradisiaco però quella coppia non aveva quasi nulla. Erano attratti oltre che dalla curiosità di essere tanto diversi l’uno dall’altro, anche dalla clientela che passava e ripassava lungo quella scogliera altrettanto antica quanto la colonia greca di Egnazia, la città che aveva dato i natali a Monopoli dopo la distruzione di due città della stessa costa adriatica.
Quando si vedevano da lontano, la medusa e il grachio si lanciavano motti amichevoli che spesso diventavano veri insulti. La medusa chiamava il granchio “crostaceo” e il granchio chiamava la medusa “mollusco” e anche qualcosa di peggio. Il “crostaceo” oziava normalmente su uno scoglio o nei suoi anfratti quando il sole dava troppo fastidio anche a lui. La medusa-mollusco spendeva tutto il suo tempo nel tepore dell’acqua, passando flessuosa tra un’onda e l'altra e da un bagnante all’altro per attaccarvisi come un’amante con fare molto casual e perfido come la signora Medusa del mito aveva insegnato alla sua razza.
Il granchio aveva accumulato col tempo una quantità così enorme di odio omicida nei riguardi della medusa che un giorno decise di farle vedere lui alla sirenetta dell’Adriatico ciò che un grachio fosse davvero!. Non avendo mai potuto comodamente abbracciare nessuno a motivo dei suoi aculei, se non aspettando al guado la vittima per pizzicarla a sua insaputa, la cattiveria lo portò al punto di escogitare fin nei minimi particolare un tranello contro la collega del mare. Il giorno che si sentì pronto, lanciò alla medusa la proposta di una vera relazione amorosa. Essendo la sirenetta più intelligente del crostaceo, finse di accettare la proposta, avendo in mente però di fargli solo uno sberleffo di corte, per umiliarlo. La sirenetta passò e ripassò da presso lo scogglio, allargando ogni volta l’aureola delle braccia flessuose come per un impossibile amplesso tra due creature così diverse. Il granchio, che nella ridotta intelligenza crostacea che aveva era riuscito però a coltivare e perfezionare per proprio conto quel filo di astuzia che i racconti oziosi dei bagnati gli avevano stuzzicato in tanti anni di cattive frequentazioni, stette allo scherzo.
La medusa era già al settimo giro e cominciava ad avere il mal di testa. Al nono il capogiro era diventato tale da non capire e da non vedere più nulla. La mente le si era offuscata al punto che le sue giravolte cominciarono ad ignorare le distanze di sicurezza. Sempre di un granchio con gli aculei si trattava, pensò! Ma non fece in tempo a concludere il ragionamento…che si sentì portare dritta verso lo scoglio. Portata con leggiadria dalle sue stesse tenere e rosee branchie si trovò di fronte il crostaceo che stava già sfregandosi gli aculei. Gli capitò tra l’uno e l’altro mentre tentava una retromarcia d’emergenza. Si era accorta molto tardi della sua sventatezza e della troppa fiducia nella sua molle struttura di ballerina di danza classica “alla marinara”. Sentì il morso lancinante delle tenaglie del perfido amico e nell’agitazione forsennata del momento perdette non solo il tutù ma anche tutta la molle parte di dietro.
Un umano che passava di là li immortalò insieme in una foto, non come i normali innamorati nascosti tra una duna e l’altra della spiaggia, ma come un predatore che stringe forte la sua preda. Morale della favola. Non basta l’intelligenza vera o presunta a salvarci dai pericoli. Occorre anche l’esperienza filosofica sui “possibili” e sugli “impossibili”, di cui difettano anche gli umani.
Corta è la foglia e larga è la via. Dite la vostra che ho detto la mia.
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La signora dell'ombrellone accanto - 5 agosto 2012
Ho davanti a me uno splendido mare color turchino, meritevole delle “bandierine blù” che danno alle più belle spiagge italiane. Sono nei pressi di Paphos sulla costa occidentale di Cipro invasa dai turisti estivi. Sotto l’ombrellone si sta bene e soprattutto freschi per la brezza che arriva direttamente dal mare. Quanto alle scottature della mia prima infanzia, è rimasta traccia solo nel “DNA” come eterna inimicizia tra me e il sole, soprattutto quello di Ferragosto che fa diventare rossi anche i bagnanti africani straunti di creme protettive al pari degli Svedesi.
Ho guidato a Paphos un gruppo di “carismatici”, giovani ragazze filippine dai tanti carismi. Per farseli apprezzare anche dagli altri su una spiaggia tanto esclusiva, hanno deciso fin dalla partenza che le tonache di qualsiasi ordine e grado se ne stessero lontani dalla spiaggia … per non sentirsi troppo imbarazzate. Così la “guida” è restata fuori con i suoi bermuda e i sandali attaccati ai piedi nella seconda fila degli ombrelloni, distante non più di una trentina di metri dal mare.
Ho trovato disponibile solo l’ombrellone n.17, che altri avevano lasciato libero per scaramanzia accanto al 16, quello di una signora di oltre un quintale di peso, di sorrisi e di creme…che non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare al mare.
Dopo un attento esame da sotto i suoi occhiali scuri - per valutare le misure e le eventuali distanze nei confronti del vicino - la “signora quintale” ha optato alla fine per un aggancio cortese e confidenziale. Ha iniziato col dire che non era di qua, ma della parte turca di Cipro, che era appena arrivata dal borgo agricolo rivierasco di Kornakiti per stare qualche giorno al mare con l’unico figlio che si era voluto imbarcare su una nave mercantile. Non erano Turchi, ha tenuto a precisare. Lei è una donna cristiana appartenente alla Chiesa Cattolica Maronita.
Quando era ragazza, ha continuato a dire a chi considerava già una persona fidata, i soldati britannici - che per quasi novant’anni avevano dominato su Cipro - se ne dovettero andare perché l’isola era diventata una Repubblica indipendente. Ma quelli se l’erano presa così male, al punto da tenersi quest’angolo meraviglioso della costa come loro esclusivo e perpetuo vitalizio…senza pagare l’ombra di un penny, come si dice nella loro lingua. Noi ciprioti sappiamo che quarant’anni fa s’era firmata una convenzione che li obbligava a pagare per quel vitalizio, dietro rilascio di una regolare ricevuta, naturalmente!. Lo sportello dell’esattoria rimase aperto per molti anni. Dovettero chiuderlo alla morte dell’ultimo gabelliere. Fino a quel momento non era ancora stata rilasciata neppure una ricevuta.
A questo punto, la donna che mi aveva finalmente detto il suo nome di battesimo, Elena, ed io il nome più accessibile alle sue orecchie, Gabriele, ha anche voluto farmi conoscere che cosa era capitato dopo che i British se ne furono andati dalla loro colonia. L’ONU aveva sentenziato che Cipro non sarebbe più stata una delle isole greche del Mare Egeo, perché con la nuova geo-politica si trovava distante dalla Grecia europea e molto più vicina al Medio Oriente. L’isola si trovava ora al fianco della Turchia asiatica e di fronte alla Siria e al Libano. Per molti secoli i sultani musulmani l’avevano dominata e avevano favorito l’immigrazione dei Turchi di quasi il 30% della popolazione cipriota. Così che la Cipro Indipendente avrebbe avuto un presidente della Repubblica di religione cristiana greco-ortodossa e un Vice Presidente musulmano turco-cipriota.
Ma tanti contrasti vennero subito a galla. Sia i Ciprioti-Greci che i Ciprioti-Turchi si accusarono gli uni gli altri di brogli e di manovre intollerabili, quasi certamente per forzare gli eventi verso un’adesione alla Grecia o alla Turchia. La presero molto sul serio, e con un tempismo da record, i Turchi veri della Turchia. Invasero l’isola con oltre 150 mila soldati dopo averli insaccati di droga e di bevande inebrianti. La signora Elena ricorda che in tre ore di tempo distrussero case e chiese, molestarono le ragazze cristiane e costrinsero tutti a scappare con quello che avevano addosso, sicuri com’erano che il giorno dopo sarebbero tornati a casa. Invece sono passati quasi quarant’anni ed è rimasto solo il filo spinato a segnare i confini tra le due Cipro, tagliando in due anche la Capitale.
Alcuni fatti miracolosi e incomprensibili attribuiti all’ intervento di Dio - dai Turchi chiamato Allah - convinsero i musulmani invasori a far ritornare i cristiani maroniti nelle loro terre, perché anche il Dio cristiano doveva averci messo del suo in quei fatti sconcertanti. Così anche l’allora maritata Elena potette tornare alla sua vecchia casa e constatare il macello che gli invasori avevano fatto nel suo paese e nelle cappelle risalenti ai primi secoli del cristianesimo che ora sembravano sagome vuote e annerite dal tempo o umiliate con la scomparsa delle croci che avevano sostituite con la mezzaluna turca. Queste cose le avevo viste anch’io nei viaggi attraverso il Nord per la visita a Salamis e a Famagusta. Non ero venuto ancora a conoscenza dei “miracoli” che Elena dava per certi, essendo avvenuti tre decenni fa e raccontati ancora da molti testimoni oculari.
Il primo avvenne nel borgo rurale chiamato Mirtu. Lì esisteva un antico monastero bizantino dedicato al Patrono San Pantaleone. Era stata meta di pellegrinaggi da tempi immemorabili. C’era andata anche Elena da ragazza, perché là i santi erano santi per tutti, fossero essi cristiani, ortodossi, cattolici e perfino musulmani. Si celebrava una rinomata sagra nel giorno della festa di San Pantaleone e il monastero si riempiva di fedeli e di offerte votive per arricchire la chiesa e il monastero di nuove icone e di nuovi suppellettili liturgici.
Quando vi arrivarono i soldati invasori e tentarono di umiliare questo monastero caro anche ai vecchi turchi musulmani che erano vissuti parecchi secoli assieme ai cristiani, ecco che il Cielo si mosse sdegnoso contro quei fanatici che avevano cominciato a cancellare dal campanile il segno della santa croce. Un soldataccio baldanzoso e volgare appoggiò la scala sul muro che portava al campanile e proferendo bestemmie e oscenità contro i cristiani arrivò alla cima e con un martello colpì una parte della croce che cadde a pezzi. Tentò con l’altra parte, ma rimase colpito da una forza invisibile e misteriosa che gli fece perdere l’equilibrio e cadde morto al suolo.
I soldati rimasero meravigliati di quello che era successo. Ma convennero che non poteva essere stato Allah a punire un fervente musulmano. Ci riprovarono, costringendo questa volta un povero passante che era là a guardare… a terminare l’opera. Raggiunse la croce del campanile, ma non fece in tempo a prendere il martello che i suoi occhi si oscurarono al punto da non sapere più come fare a scendere da quell’ altezza. Rimase irrimediabilmente cieco per tutta la vita.
Questo primo segno straordinario fece decidere alle autorità civili di Mirtu di scrivere ai militari una richiesta, che non se la prendessero più con le chiese cristiane. Lo aveva raccomandato anche Maometto, c’era scritto nella stessa lettera, che i Musulmani dovevano rispettare i credenti nel Libro, quelli delle tre religioni che si riconoscevano in Abramo fedeli ad un Dio solo (Ebrei, Cristiani e Musulmani).
Al secondo segno ci pensò la Madonna Assunta, celebrata dai cristiani il 15 Agosto anche nella zona turca-musulmana di Cipro. Avvenne nel borgo che si chiamava e si chiama ancora Kambili. Diversamente dal monastero ortodosso di Mirtu, qui c’era stata ed esiste ancora una chiesa del VI Secolo dedicata alla Vergine Assunta in Cielo.
Dopo qualche anno dall’invasione, calmati i “bollenti spiriti” dei soldati arrivati dalla Turchia, il sindaco musulmano che era subentrato a quello maronita, si preoccupò che nessuno andasse a vandalizzare quel luogo caro anche ai Musulmani, i quali vedono in Maria il modello della donna islamica. La chiave del portone d’ingresso se la tenne lui. E guai a chi osasse toccare la casa di Miriam.
Com’è il suo stile dolce e ardito di madre universale, l’Assunta volle sdebitarsi con il sindaco e con la popolazione musulmana del favore fattole. C’era una donna, ed Elena è visibilmente commossa nel raccontarlo, che era stata cieca in quel borgo fin da quando era bambina. Si era trovata per caso al centro di un tafferuglio tra soldati ubriachi ed era stata colpita da un proiettile che le era esploso in faccia. Avevano fatto di tutto per rimetterla in sesto ma la donna restò deforme e cieca fin a quando accadde qualcosa che cambiò la sua vita.
Il mese di agosto fu particolarmente torrido quell’anno. Prima della metà del mese la donna di Kambili cominciò a fare strani sogni, che erano sempre gli stessi. Le appariva una donna la cui bellezza non fu mai capace di descrivere. Alla vigilia della festa dell’Assunta, della quale tutto il paese ne aveva il ricordo, dopo il solito sogno la Donna finalmente parlò. “Fatti dare dal sindaco la chiave della chiesa dell’Assunta, disse, entra e mi vedrai di nuovo”.
La cieca eseguì l’ordine. Si fece accompagnare alla casa del sindaco che, forse ispirato anche lui, disse che avrebbe ubbidito volentieri alla richiesta della Vergine Miriam. Si mise lui stesso alla testa dei paesani, incuriositi per quello che poteva accadere, e si recarono alla Chiesa dell’Assunta. Il sindaco aprì la porta. Senza che nessuno le indicasse la direzione, la donna cieca andò senza esitazione verso l’altare su cui troneggiava la statua della Vergine Assunta. La vide e continuò a vedere fino a quando campò. Alla gente imbarazzata e intimidita da quel miracolo, la donna raccontò che era proprio questa la Signora che le era apparsa in sogno. Chiedeva solo che ad ogni festa dell’Assunta il sindaco mettesse a disposizione dei cristiani la chiesa di cui aveva la chiave. Il sindaco, che non stava in sé dalla conrentezza, promise che avrebbe dato la chiave non solo ai Cattolici Maroniti del posto ma a qualsiasi gruppo di pellegrini arrivati da lontano il 15 agosto e tutte le volte che gliela avessero chiesta.
Finito il racconto, la signora Elena, ancora sossopra dalla commozione, mi presenta il figlio marinaio emerso finalmente dai flutti del mare e dalle tante teste dei bagnanti. In quello stesso momento il cielo di Paphos ha cominciato ad oscurarsi. Le nubi calde e leggere, che erano state in attesa anche loro di sapere come sarebbe finita la storia di Elena, scontratesi con quelle dense e fredde che il vento aveva spinto dalle montagne di Throodos, hanno causato un violento temporale che è durato 20 minuti.
Le ragazze carismatiche, recuperati in fretta gli zaini in cui avevano messo anche i sorrisi e le promesse meritatisi dai ragazzi della spiaggia, sono corse subito alla corriera che ci aspettava a poco più di cinquanta metri dal mare. Il tempo di lanciare un saluto alla signora Elena e al figlio marinaio, poi tutti in marcia verso Nicosia.
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Festa di Sant'Antonio da Padova a Nicosia - 15 giugno 2012
Ieri abbiamo celebrato la festa di Sant'Antonio da Padova, in cui si è fatto sfoggio di tutte le cose che mi descrivevi della festa come si celebrava in Brasile settant’anni fa. Non avevo incontrato prima di ieri così tanti "Latini viventi in Cipro" come in questa occasione, perchè la fiera di san'Antonio era nota da secoli in tutta l'isola e ci capitavano a Nicosia anche i Presidenti della Repubblica per innaugurarla.
E’ rimasto ancora il mercatino con la "ruffle", la pesca più o meno miracolosa come si faceva per la Giornata Missionaria Mondiale a Castellana Grotte, quando anche mamma Anna Carmela vi partecipava con l’immancabile offerta di due torte (una con la crema e l’altra senza, chiamata ciambella) e l’aggiunta di qualche gingillo di cui non aveva più bisogno.
Tutto questo… era finito a Cipro vent'anni fa con l'arrivo degli extra comunitari, in gran parte cattolici anche loro, mal sopportati dai Ciprioti perché “gente che puzzava", esattamente come facevano da sempre i non cattolici dell'isola, quelli soprattutto della Chiesa Nazionale Greca Ortodossa nei riguardi di chi non era Cipriota e non parlava Greco. Oggi le cose sono cambiate, ma solo a motivo delle statistiche. Il numero maggiore dei nostri cristiani cattolici di Nicosia e delle altre tre parrocchie dell'Isola conta migliaia di stranieri immigrati asiatici, africani, russi e i paesi di quella Confederazione, latino-americani.
Alcuni hanno trovato marito o moglie qua e perciò vengono equiparati legalmente ai Ciprioti. Quelli veri, però, i secolari Latini fedeli a Roma che si ritengono la "comunità cattolica originaria", stanno diventando anziani, riducendosi paurosamente di numero con i frequenti decessi, l’unica cosa che accomuna Ciprioti e Forestieri nella sorte di tutti gli umani.
Alla festa di ieri erano presenti tutti i gruppi. Per rispetto ai Latini Cattolici Ciprioti, che la celebravano già da prima dell'arrivo dei "puzzoni", la messa è stata celebrata in lingua greca (un po' stentata, in verità, da parte del Superiore che è un messicano doc). Si sono ritrovati tutti insieme anche alla processione attorno al giardino del Convento-Nunziatura, al mercatino e alla reception. Un vero miracolo.
Ecco a lato qualche foto di un mix di popoli com’è diventata questa parrocchia con i suoi colori, le sue varie e nuove culture, e le sue ansie che sono identiche a quelle di tutti i gruppi etnici dell'Isola.
Il sindaco della circoscrizione della città di Nicosia di cui facciamo parte, un greco-ortodosso accompagnato dalla moglie americana di stretta osservanza cattolica, ha innaugurato la festa e si è prestato a pescare i biglietti della lotteria.
Una giornata davvero straordinaria, in cui non mi sono dimenticato neppure di mio padre Antonio, di mia sorella Tonietta di Bari e della nipote di Castellana che porta il nome di Antonietta (per distinguersi da quello della zia barese, si intende!).
A me piacciono tanto le liturgie parrocchiali, anche se sono differenti da quelle che un tempo celebravamo in una società non ancora scristianizzata o scettica. I tempi cambiano, ma i cuori delle donne e degli uomini sono sempre gli stessi, malgrado gli sforzi di dissacrare anche quelli da parte delle varie forze autoblasonate come “progressiste” e “scientiste”, che di progressivo e di scientifico hanno solo quello di mandarci indietro, il più velocemente possibile oltre l'età della pietra.
Festa della Repubblica Italiana a Cipro - 8 giugno 2012
Ad essere sinceri, anche noi Italiani che abitiamo nell’isola di Afrodite, abbiamo dovuto correggere qualcosa nel programma della Festa della Repubblica. Non è stato però a motivo dell’austerità, come aveva raccomandato ai nostri compatrioti il Presidente Napolitano, ma per rispettare la sacralità del week-end, come i Britannici che li hanno tenuti in “colonia” per quasi un secolo (1878-1960), a cui i Ciprioti ci tengono molto anche loro e non avrebbero potuto rinunciarvi al sabato 2 giugno.
Così, previo avviso, il Corpo Diplomatico delle nazioni rappresentate a Cipro e quasi un migliaio di Italiani residenti nell’isola, la sera del martedì 5 seguente sono accorsi numerosi alla casa dell’Ambasciatore, anzicché ad un fastoso hotel della Capitale come fanno gli altri. Nell’ampio giardino della dimora dell’eccellente ospite, attorno ad un piscina che nel parco dava una una piacevole sensazione di ristoro e di frescura, non è mancata neppure la visita della coppia presidenziale della Republica di Cipro, molti diplomatici ed invitati che hanno sempre amato questa festa conoscendo quello che gli Italiani hanno lasciato sull’isola di Cipro lungo i secoli, senza dimenticare il periodo della preistoria e della particolare devozione dei popoli antichi alla dea Afrodite che i Romani tradussero subito in Venere, che a loro doveva suonare meglio. Gli ultimi “colonizzatori” muterannoì il nome della capitale da Lefkosia in Nicosia… di più facile lettura anche per loro.
Nel giardino dell’Ambasciatore non ci sono stati discorsi ufficiali. Non in ossequio all’austerità suggerita da Napolitano, ma perché da qualche tempo non se ne fanno più. Dovevano parlare “italiano” solo le pizzelle, il prosciutto, il salame e il parmigiano reggiano, nonché una scelta accurata di vini nostrani a beneficio degli invitati che non avrebbero compreso bene l’Italiano dei discorsi ufficiali, ma gustato - invece - molto più volentieri le specialità della tavola italiana dei quali gli onorevoli ospiti sembravano conoscere i nomi e le annate.
Anche la Nunziatura Apostolica, volgarmente detta Ambasciata del Vaticano, era rappresentata dai suoi tre rappresentanti diplomatici: i Frati Francescani Evenzio Herrera, il Vicario Andrew Arhin e il Segretario P. Vito Gabriele Scagliuso, un Pugliese appartenente all’Istituto dei Missionari Saveriani di Parma. Altri Frati e Suore Francescane dell’Isola, anche se non tutti italiani, ma che parlano perfettamente la nostra nobile lingua a cui San Francesco diede una base solida tanto da essere citato in tutti i libri di Letteratura, erano arrivati dai conventi avvolti nelle loro tonache. Gruppi di famiglie italiane con il seguito di amici compatrioti presenti a Cipro, hanno rallegrato la serata non tanto con canti napoletani o qualche Aria famosa di musicisti italiani - che avremmo ascoltato molto volentieri - ma con la loro caratteristica “aria di famiglia” con seguito di bambini che tentavano di sfuggire alla sorveglianza dei genitori, che dovevano cercarli di qua e di là, prima che se ne fosse trovato qualche segno nella vasca da bagno.
Passando da un gruppo all’altro con la mia divisa di sacerdote cattolico, non ho riconosciuto molte delle mie consuete pecorelle. Ma è stato sufficiente aver visto, ascoltato e salutato qualche famiglia, perché qualcuno promettesse che “da oggi in poi” sarebbe stato più assiduo alle funzioni nella Chiesa di Holy Cross. Anche l’Ambasciatore e la sua gentilissima Signora ne sarebbero contenti.
Alla fine, molto alla spicciolata, verso le 10 della sera gli invitati hanno lasciato la villa dell’Ambasciatore. Nessuno si è lamentato della mancanza delle sfilate militari, dei bersaglieri con le piume o della corona di fiori presso la stele di un’improbabile milite ignoto italiano a Cipro. Hanno gustato e apprezzato moltissimo l’Italia in un altro modo. E allora: Viva l’Italia.
Cyprus National Fair - 30 maggio 2012
Non appena la CD della Nunziatura Apostolica ebbe varcato la barra dell’ampio e moderno cortile della Fiera Campionaria di Nicosia (Cipro), il cuore cominciò a battere forte. L’ultima volta che avevo visitato una fiera era stata quella regionale dei bovini che si svolge ogni anno a Martina Franca (TA). Era il 1969. Qualche anno dopo arrivò l’occasione giusta per quella più famosa del Levante di Bari. Ma un’acquazzone fuori programma fece decidere alla famiglia del Maresciallo Lettini che aveva ottenuto otto biglietti gratis per loro, per i nonni e per lo zio materno, di rimandare la visita a tempo più clemente, cioè alle calende greche…
Un nugolo di inservienti e di poliziotti ci accerchiarono con gentile premura, secondo gli ordini ricevuti, chi affacciandosi al finestrino di destra per chiedere all’autista l’invito e il “pass” per partecipare all’innaugurazione della Fiera, chi allo sportello di sinistra per aprirlo cortesemente a chi per loro non poteva essere che l’Ambasciatore la cui automobile era targata CD 1. La signora, che sembrava più in alto degli altri nel servizio, ci aprì la strada seguita da una mezza dozzina di stagiste verso l’ingresso.
Ci accolse un’orchestrina di concertisti in divisa che luccicava tra qualche ottone, due sassofoni, delle chitarre e una batteria di tamburi sul lato sinistro dell’ingresso. Nel mezzo si stendeva per almeno venti metri buoni un tappeto rosso che sembrava in attesa dei due smarriti visitatori apostolici con il vip-pass ancora in mano. Mi voltai indietro per capire meglio dove mi trovavo. Il cortile era davvero grande con vasche e fontane chiacchierine, palme esotiche e aiuole da mille e una notte. Al di là delle piante occhieggiavano le insegne di una serie di hotel e di bar invitanti. Coppie giovai e bambini in carrozzella o grandi abbastanza per spingerle da sé riempivano i vari spazi adibiti ai conforts, alle bancarelle e ai servizi di altro genere. Un vero paese dei balocchi, degno della dea Afrodite.
L’interno del salone delle rappresentanze stava un po’ alla volta animandosi. Ministri e sottosegretari del Governo, Ambasciatori e invitati di rango, sempre accompagnati da stagiste in uniforme, stavano accomodandosi alle poltrone numerate. Il Delegato di Nunziatura, di cui io ero solo l’accompagnatore, scelse il numero 13 che gli ricordava il santo francescano del quale in convento portava la tonaca (ma qui in sala era con un semplice clergyman grigio-volpe). A me toccò il numero seguente, il 14, che non significava nulla. Ad un certo punto ci fecero alzare in piedi. Era entrata la coppia Presidenziale. Saluti con gli ospiti della corsia centrale e cordiali segni della mano per gli altri, come ai due del Vaticano che erano nelle file interne fianco a fianco con l’Incaricato di Affari degli Stati Uniti (Fra Evencio) e con l’ambasciatore e consorte del nuovo Stato della Palestina (P. Vito). Seguì l’Inno Nazionale eseguito al pianoforte da un musicista cipriota molto conosciuto e da due altrettanto famose cantanti attempate per via di una lunga carriera, ma con voci angeliche da fare ancora stupire. Erano gli stessi che avevano suonato e cantato nel concerto della chiesa di Holy Cross.
Iniziarono i discorsi del Ministro dell’Industria e del Commercio, del Direttore della Fiera e del Presidente. Subito dopo riprese a cantare e a suonare il terzetto di prima. Meraviglia e applausi scroscianti. La loro esibizione durò neppure venti minuti, ma le liriche erano famose di secoli. Al termine del canto napoletano “Santa Lucia”, mi accorsi che due lacrime impertinenti mi avevano inumidito gli occhi fin dal momento di “Sul mare luccica”. Finalmente ci preparammo per un display di marchingegni moderni in tutti quanti i padiglioni ammiccanti per visitatori affamati di curiosità. Visitammo con la coppia presidenziale solo un padiglione …l’unico aperto, dove le stagiste distribuivano depliant su ciò che ci saremmo aspettati di vedere sia là che in tutti gli altri padiglioni della Fiera…Non c’era alro. Ci informarono, dopo, che gli espositori esteri avevano rinunciato ad esporre le loro primizie a motivo della “congiuntura”. I tempi erano tristi anche per loro. Ci accontentassimo delle fotografie a colori dei loro prodotti, facendo attenzione ai numeri telefonici di coda, all’indirizzo web e al Fax. Contattassimo “any time” le Compagnie all’estero, che ci avrebbero risposto subito. Nell’unico padiglione aperto e illuminato da centinaia di luci psichedeliche, dopo la visita del Presidente e degli invitati di lusso rimasero solo le stagiste con i depliant in mano.
La vera festa era però continuata fuori del salone e dei padiglioni vuoti per la “Congiuntura”. Erano ancora là e stavano addirittura moltiplicandosi le giovani coppie e i bimbi con i palloncini colorati per gustarsi l’esposizione dei leccalecca, dei cioccolati di varia denominazione d’origine, i gelati e la musica a tutto volume dei jubox. Anche l’orchestrina dell’ingresso si era dileguata non appena la coppia presidenziale si era rimessa in macchina. Ci dileguammo anche noi, in assenza di una reception…perchè al Delegato della Nunziatura, nonché autista della CD, gli era venuta fame. Questa è la storia della sensazionale visita alla mia prima Esposizione Internazionale…in attesa di una più interessante Cyprus International Fair.
Il ballottaggio - 22 maggio 2012
Il termine inglese per designare l’elezione di uno solo dei candidati al governo di una città, di una regione o di un’intera nazione, assomiglia molto a quello italiano: è il Ballot, dalla radice ball, la palla con tutte le sue accessioni. C’è da aspettarsi l’applicazione di uno o dei tanti altri significati del termine in questione… quanto i ballottaggi costino oggi ai cittadini! E quante balle o promesse (siamo generosi!) vengano loro propinate!
Il “ballottaggio” - dopo la mia ricerca, accarezzato dalla brezza piacevole che spira dal mare tutto il giorno - è una parola che mi piace. Conoscendo ora il risultato della sfida tra i due candidati sindaci della mia città, per loro voglio azzardare qualche consiglio o sfogo da amico.
Su www.vivicastellanagrotte.it ho seguito tutte le argomentazioni di ciascuno di voi, comprese le immagini del degrado per colpa altrui e delle buone realizzazioni per merito proprio. Ad un giovane castellanese che si era cimentato al primo turno senza però mettere insieme un quorum sufficiente per essere nominato Assessore, consigliavo che mettesse la sua competenza e la sua buona volontà, oltre l’affetto molto bene esternato per la sua città, a disposizione di chiunque avesse vinto la gara di appalto. Il suo discorso era stato quello di un affascinante idealista ma la politica, gli avevo detto, oggi si fa anche sottobanco e, molto più spesso, con compromessi che smentiscono il giorno dopo tutto quello promesso il giorno prima.
Il “pallottoliere”, che viene anch’esso dalla parola “palla”, è sempre stato il simbolo di ogni buona e accurata amministrazione pubblica, uno stumento antico che non può raccontare balle. Il pallottoliere, come quello che usano ancora i Cinesi della mia prima parrocchia asiatica di Airmolek (Sumatra), deve dare dei risultati concreti, controllabili ed estremamente precisi. Anche se è fatto di palline colorate, quasi come i giocattoli di una sagra paesana, alla fine gli si chiederà solo una cosa, nera su bianco: quanto costa una certa operazione e se ci sono i soldi per farla. L’amministratore saggio non si sogna neppure di “barare”. Ne andrebbe di mezzo la sua reputazione e la sua carriera (Beh, quasi sempre!).
Come dicevo al giovane idealista di sopra, i Castellanesi che vivono in qualche lontano quartiere del mondo si aspettano che i fondi del Comune vengano spesi bene, in opere verificabili, senza ricorrere alle scontate “buone intenzioni” portate poi come scusa in caso di fallimento. La maggior parte degli amministratori lamenta la mancanza o l’insufficenza di fondi. Come mai, allora, i giornali riportano che solo il 9% dei contributi assicurati dall’Europa agli stati membri viene chiesto e usato dagli enti italiani aventi diritto? Ha fatto eccezione solo il “cerchio magico di Bossi” …che riuciva ad arraffava da qualsiasi parte a beneficio della propria famiglia naturale soltanto.
Il Castellanese che di tanto in tanto ritorna al proprio paese, tra un abbraccio e un saluto in via Caroseno o sulla discesa di Chiesagrande, deve fare attenzione a dove mette i piedi per non inciampare in una “chianca” traballante o malrimessa. Se poi alza gli occhi per lamentarsene con Domeneddio, il suo sguardo incrocia balconi e terrazze che da antichi che erano…si affacciano oggi sulla strada con finestre-falsoantico-plasticate e da porte di acciaio-colorrossovivo-antiruggine. Per evitare un simile scempio il Comune di Pontetaro del Parmense e dei sobborghi antichi ai piedi del Passo della Cisa hanno chiesero fondi alla Madreuropa, ed una volta ottenutili potettero restaurare il loro habitat, a cominciare dai tetti di tegole vero-cotto-antico delle loro case, fino al selciato delle strade di vero granito. Un patrimonio ambientale e artistico salvaguardato, che continua ad attirare molti visitatori.
A Castellana verrebbero in tanti a contemplare le opere dei nostri artisti come lo scultore Aurelio Persio discepolo di Michelangelo e Vincenzo Fato pittore ammirato anche a Napoli, nonché del naturalizzato concittadino Fra Luca Principino scultore nato a Castellaneta e autore di autentici capolavori nella chiesa di San Francesco…Ma come far evitare ai turisti, che desideriamo che vengano, l’impazienza al passaggio a livello di via Conversano finchè siano passate tutte le littorine della Sudest? E come far loro evitare il “traffic-jam” cittadino, cioè l’ingorgo esagerato delle strade verso qualsiasi direzione in mancanza di una circonvallazione, che per farne una davvero degna di questo nome dovrebbero oggi requisire non soltanto suoli ma quartieri interi di palazzi per farla?
Un Castellanese che viene da lontano non va a rinverdire i suoi ricordi nei quartieri nuovi della città e nei moderni super-market (una vera provvidenza, per carità!) ma cerca l’ebbrezza della memoria nelle stradine del Casalicchio ancora rigate dal passaggio degli asini e degli armenti di una volta. Vuole fermarsi, senza il pericolo di essere travolto da qualche macchina o da qualche improperio, presso le iconi religiose che la pietà popolare aveva seminato in molti angoli del paese e della campagna invasa oggi da centinaia di villini per la villeggiatura. Vuole fare del buon “footing” nella Villa Comunale ripulita da simboli e scritte ambigue, sulla strada per le Grotte, di Putignano, di Alberobello o di Castiglione per godersi i campi ben coltivati e le casette e i trulli curati e ordinati come erano nella civiltà contadina di un tempo. Vuole infine partecipare in pace ad una processione di santi cittadini senza l’assillo delle frecce invitanti verso la deriva delle bancarelle, dei panzerotti, delle salsicce o di quant’altro preparato da chi di processioni ne aveva già fatte troppe ai tempi della vera devozione…e gli bastano solo quelle…e “suverchia”, come si dice in gergo castellanese!
Il vostro concittadino che ha scritto quest’articolo ha intenzionalmente esagerato. Ma se avesse anche voluto sfogarsi per far capire al sindaco e alla sua amministrazione che dopo aver vinto il “ballottaggio” facciano finalmente queste vecchie cose conservate nella naftalina dei ricordi? Lo avevano promesso in tanti prima di loro, come se l’è sempre aspettato da oltre 50 anni il Castellanese che viene da lontano.
La vacanza - 17 maggio 2012
L’argomento di questo contatto me l’ha ispirato il termine “vacanza” o break di riposo, come lo chiamano gli anglosassoni. Di vacanza si parla anche in giurisprudenza o nel linguaggio burocratico per designare un vuoto di potere o della sospensione di un ufficio la cui poltrona andrà assegnata dopo un certo periodo di tempo a qualche altro “ufficiale”. In questi giorni anche i giornali di Cipro parlano delle “vacanze” in tutti e due i sensi.Abbiamo notizie recenti di vacanza di Governi, di partiti politici, di Giunte comunali in attesa che i candidati sindaci raggiungano il loro “quorum” di voti per poter governare. Un’attesa, questa vacanza, colma di tensioni, di timori, di decisioni precipitose e catastrofiche come quella dei Greci. Altro che un posto al sole!
In tutti i paesi del mondo questo tipo di vacanza o vuoto politico fa desiderare un nuovo “ordine mondiale” come era stato chiamato fin dal suo debutto il raduno degli allora pochi “GRANDI della terra” (sic). Il pianeta è in subbuglio da oltre un anno a partire dal Nord Africa, nel Medio Oriente e una dopo l’altra tante altre nazioni che vogliono cambiare politiche e stili di vita.
Anche in Cipro i leader politici emergenti aspettano con una certa impazienza il cambio del Presidente della Repubblica per passare da una gestione vetero socialista del potere, ma con molti buoni risultati, ad un’altra che ciascuno tiene nel cassetto per tirarla fuori solo a turno di presidenza del Consiglio d’Europa terminato (Luglio 2012). Allora ci sarà una campagna elettorale alla grande per il cambio politico e amministrativo del governo dell’isola, in particolare del 70% dei Ciprioti della zona greca. Guardando al dirimpettaio Libano, che Europa non è ma che ha all’interno divisioni e contese esplose in una ribellione popolare con la benedizione della Siria, ogni timore di propagazione delle tensioni politiche e religiose anche nell’isola di Cipro è da prendere in seria considerazione.
A queste “sospensioni” della politica internazionale oggi cariche di incognite, diventano un problema anche le vacanze-periodo-di-riposo su qualche spiaggia sperduta dell’Egeo o sui monti delle nostre cordigliere con o senza manto nevoso. Le vacanze estive hanno subìto un sensibile ridimenzionamento da parte di molte famiglie che hanno cominciato da tempo a rivedere i conti della spesa giornaliera. Gli unici turisti-vacanzieri-pellegrini che ho incontrao a Nicosia in questi giorni sono abbastanza anziani, se non è offensivo chiamarli penzionati. Le agenzie me li accompagnano ad Holy Cross e chiedono nella loro lingua (francese, italiana, tedesca, svedese…) qualche nozione di quest’isola la cui storia è antica di circa diecimila anni. Un gruppo di Cremona (IT) è arrivato con il loro vescovo e con mezza dozzina di parroci al seguito. Ignoravano molte cose dell’isola. Sapevano però che era nel Mediterraneo, il romano “mare nostrum”, a differenza di un’agenzia turistica americana che l’aveva insaccata tra le isole minori dei Caraibi. Chi frequenta qualche chiesa cristiana sa che fu evangelizzata dall’Apostolo Paolo e dal suo discepolo cipriota Barnaba. Ve ne ho parlato in un altro messaggio da Cipro.
Ma da sane “vacanze per tutti”, anche il break inglese sotto un ombrellone sta diventando un “privilegio per pochi”. Una vacanza per scopi culturali appare sempre più frequente sui depliant delle agenzie turistiche, forse tenendo presente l’età della clientela. Le navi crociere restano ora un sogno per tanti, dopo che le ammiraglie italiane della “Costa Viaggi” hanno fatto parlare di sé nel mondo a motivo degli errori dei Capitani o degli incidenti meccanici che hanno fatto l’onore delle cronache e il fallimento degli Armatori. Sempre più frequentemente si ode l’allarme dello STATEVENE A CASA!. Le Agenzie di Viaggio Nazionali offrono ai clienti liste dei musei da vistare e dei menù dei migliori ristoranti non troppo distanti da casa loro. I viaggi fuori dai confini nazionali sono diventati “rischiosi”.
Io invece, da trotter più unico che raro nei quattro angoli del mondo, vi invito tutti a viaggiare. Non per stedere al sole le membra grondanti grasso e muscoli pendenti, ma perché una vacanza “culturale” ci insegna molte cose, prima di tutto a ringiovanire, se siete anziani, poi come “vivere in armonia” con altre culture e con altri popoli diversi da voi. Scrissi nel settembre 2000 dopo aver accompagnato in Giappone un gruppo selezionato di Italiani di Fidenza: Incontrare altri popoli e conoscere altre culture ci fa sentire più umili, ridimenzionando quel provincialismo o campanilismo da “fiera dell’impanata” che fa del proprio villaggio il cuore del mondo.
Allora ricevete l’augurio di una sana “vacanza” anche sull’isola di Cipro, una piccola isola del Mediterraneo colma di storia oltre che di opportunità balneari, riempiendo più saggiamente le “vacanze” politiche e amministrative con interessi e orizzonti culturali più ampi.
La mamma e la donna - 8 maggio 2012
Per la prima volta nella Parrocchia Holy Cross di Nicosia (Cipro), i Consoli dello Sri Lanka e delle Filippine hanno accettato una “colazione di lavoro” per parlare delle condizioni dei loro connazionali emigrati su quest’isola dove percepiscono un salario, anche se minimo, da poter inviare alle loro famiglie nell’isola chiamata una volta Cylon o in una delle 7.000 isole dell’arcipelago delle Filippine.
La maggior parte di questi migranti sono donne. Più del 50% madri con figli che studiano nei loro paesi di origine. La festa della mamma è molto sentita tra queste donne orientali che portano stampato sul volto un perenne sorriso adolescenziale…anche se non sempre è spontaneo.
Non lo è soprattutto per lo sfruttamento che queste donne subiscono non appena approdate a Cipro con il carico dei loro problemi esistenziali e con il “Visto ” di ingresso e altri documenti personali artefatti.
Comincia da questa situazione l’intrufolarsi dei profittatori, delle mafie locali con aggancio a qualche amministratore pubblico corrotto, dei sindacati conniventi con persone che si fanno passare da avvocati, consulenti o “protettori” (leggetela questa parola come volete, che non sbaglierete!), che dichiarano di sapere come tirarli fuori da ogni impiccio, naturalmente consegnando loro parte del modico salario che riceveranno, che è in media di 350 Euro al mese.
Chi ha la capacità e la fortuna di servire una famiglia benestante (come una mia parrocchiana filippina che è a servizio dell’Ambascatore d’Italia a Cipro) può vantare oltre che di un salario fisso, che per questa gente è sempre minimo, anche del vitto della famiglia ospitante e di una camera di alloggio. Chi fa lavori precari, come capita a tutti gli extra comunitari di questo mondo che passano da una mansione all’altra e da una magra paghetta all’altra, devono accontentarsi di dormitori comuni in case affittate non proprio a prezzo favorevole. In questi appartamenti, dove passano qualche ora della giornata o della notte, condividono l’affitto con altre cinque o più persone.
I Consoli della “colazione” hanno chiarito che non hanno alcun interesse ad approfitare della precarietà dei loro connazionali. Se si rivolgessero ai loro Consolati, lamentano, questi saprebbero come aiutarli “d’ufficio”, senza chiedere alcun compenso. Il personale dei Consolati, assicurano, svolgono un servizio gratuito. Ma gli extra comunitari hanno paura di rivolgersi a loro. E’ gente ufficiale, dicono, e sono sicuramente delle spie. Ben poca o nessuna richiesta di aiuto ai loro propri Consolati. E’ meglio restare clandestini e ignorati dalle autorità del paese di origine che pagano i Consoli per continuare a perseguirli con leggi capestro che in patria li avevano ridotti alla miseria e al crimine. E’ meglio, concludono, pagare la tangente e stare zitti.
La Caritas parrocchiale interviene con urgenza a favore dei più poveri e nelle situazioni umane più difficili perché i nuovi arrivati vengano sistemati legalmente nelle famiglie suggerite da amici disinteressati. I Consoli hanno promesso di collaborare con la Caritas affinche attraverso di essa i loro concittadini evasi o emigrati regolarmente dai loro paesi evitino lo strozzinaggio delle mafie locali. Il volantinaggio fuori della chiesa che essi frequentano e le visite domiciliari servono a convincere i più timorosi che nessuno li maltratterà o approfitterà mai di loro.
Domenica 13 maggio. Anche le mamme della parrocchia Holy Cross celebreranno la loro Festa con un ricco bazar e l’incontro con i consulenti giusti che hanno promesso di salvarle dalle grinfie degli speculatori. Ma per quanto si faccia per loro, riusciremmo a convincere e a risolvere la situazione di qualche centinaio di trasmigranti soltanto… ce ne sarebbero altre migliaia che continuerebbero a rivolgersi alle organizzazioni criminali per nascondere disavventure precedenti, accontentandosi di una povera parte del loro salario su cui continueranno a speculare chi è abituato a vivere sulle sventure altrui. Una scoperta nuova e triste.
Anche se questa fosse la realtà consolidata in tutti i paesi a cui questa gente chiede asilo, non mi risparmierà mai una fitta al cuore per le povere madri venute da lontano in cerca di un lavoro, di sernità, di giustizia e di rispetto.
Viaggio a Salamis, in zona turca - 1 maggio 2012
Qui approdò San Paolo, evangelizzatore dell’isola di Cipro
…Nell’isola di Cipro la primavera è finalmente arrivata, anche se di notte occorre portare prudentemente un maglione o una giacca pesante. Ieri il cielo è stato così splendido, forse per onorare anche lui la ricorrenza italiana della Liberazione, da far decidere al parroco di realizzare subito l’escursione programmata da tempo per portarmi con la sua CD “diplomatica” (perchè facciamo anche da Ambasciata Vaticana a Cipro) nella zona turca dell'isola.
Questa fu invasa negli anni '70 da alcune decine di migliaia di soldati mandati dalla Turchia. E il caso non è stato ancora risolto. Occorre il passaporto per passare da una parte della città di Nicosia che è greca a quella turca di Nicosia dove si parla la lingua di Ataturk. Come poi questo sia accaduto, che cioè uno stato liberale anche se tosto come quello di Ataturk, abbia conquistato un paese vicino in tempi di democrazia - in cui si devono difendere col dialogo, se ci sono, i propri diritti - non si capisce proprio!
Le due etnie di religione cristiana e musulmana convivevano pacificamente prima dell'invasione avvenuta al termine della colonizzazione inglese e quando governava il primo presidente della Cipro indipendente l’Arcivescovo Greco Ortodosso Macario. Dalla zona Nord del paese fuggirono i cristiani in gran parte professionalmente preziosi e abbienti economicamente. Altri furono uccisi, i beni confiscati e le chiese chiuse o trasformate in museo. E’ diventata un museo anche la basilica che ho visitato ieri assieme alla vicina tomba di San Barnaba che era nativo di Cipro. Dopo la sua conversione seguirà San Paolo in gran parte dei suoi viaggi apostolici.
Il paesaggio è rimasto quello di sempre, meraviglioso di monti che fanno da cornice ad una grande pianura coltivata a frumento, cosa che non si nota molto nell’altra parte dell'isola. Il parroco autista-della-macchina-diplomatica non se n'è accorto... ma due lacrime mi sono cadute spontanee a vedere la somiglianza di questa pianura con il nostro Tavoliere pugliese e con il frumento biondo di spighe per varie decine di miglia (era così, una volta, anche da noi!).
La tomba e la basilica di San Barnaba si trovano a Salamis, quella che negli Atti degli Apostoli si chiama Salamina. Qui approdò San Paolo e la spiaggia dominata dalla lunga linea delle alte colline in trasparenza nel tramonto tiepido e sereno di questa giornata fa davvero onore allo sbarco di uno dei pilastri della nostra Chiesa. Nella Basilica-museo si possono contemplare a pagamento (perché “pecunia non fetet” neppure in questa parte di mondo!) decine di iconi antiche. Nella cripta dell tomba del discepolo di Paolo si può ammirare un sarcofago che la devozione attribuisce al Santo patrono dell’Isola. Qualche cero e basta.
L'area arcologica è di una bellezza incredibile, anche se pecca di manutenzione che lo sciopero dei netturbini, pateticamente chiamati operatori eologici anche qua, l’ha ulteriormente aggravato e “appuzzito” in questi giorni. Da Salamis abbiamo raggiunto l’antica Famagusta (a noi nota come Famagosta). Una città di mare e oggi zona balneare per decine di migliaia di turisti a molti dei quali non importa un granchè la storia edificante dei primi secoli del Cristianesiamo o dei tempi recenti di scristianizzazione forzata, quanto le spiagge su cui spendono le loro vacanze. Il centro di Faragusta si specchia su una splendida laguna circondata dalle lunghe mura della “città vecchia”, quando per difendersi gli abitanti dovevano vedersela a tu per tu con il nemico e combatterlo corpo a corpo senza lasciare nulla al caso... come molto a casaccio avviene oggi.
La chiesa dove dovrebbero radunarsi gli studenti cattolici, in gran parte africani nigeriani che studiano all'Università statale di Famagusta (14 mila studenti)… non esiste affatto. Li abbiamo riuniti nella cappella dell'acampamamento del contingente militare UN, dopo aver presentato anche qui i passaporti e avuto in cambio una sorta di "pass" legato ad un semplice cordoncino “ francescano”. A tarda notte abbiamo preso un sandwich nei pressi della laguna con una tazza calda di caffè preparati dalla signora leader del gruppo carismatico di Larnaka, cittadina balneare della zona greca che ospita l’aeroporto, che vengono di tanto in tanto ad evangelizzare i nostri neofiti dell'Università.
Di ritorno alla frontiera di Nicosia, lo stesso rito della patente. Questa volta, però, molto sbrigativo per la partita europea di calcio da non perdere neppure in un posto di blocco turco. Buona notte.
La politica italiana nel gossip cipriota - 26 aprile 2012
Sento che sia affettivamente che politicamente è scorretto parlare dell’Italia nell’anniversario della sua Liberazione da un’altro avamposto di osservazione, anche se si tratta della piccola Cipro più a sud dello stivale che sta preparandosi per la prima volta a presiedere il Consiglio Europeo.
E’ proprio in questa terza isola del Mediterraneo per dimensione che, passato il Carnevale, ho sentito chiacchierare molto a proposito dei milioni di Euro che il “Cerchio Magico” della famiglia Bossi, ad insaputa del boss, naturalmente, avrebbe depositato in una Banca Commerciale appartenente alla dea Afrodite, come all’egiziano Mubarak era appartenuta la fatina Rubacuori, una bellezza dei nights.
E’ fuori dubbio che questo genere di investimenti lo abbia ispirato la stessa dea cipriota. Qui sono d’accordo che sia andata davvero così. Mi ha colpito molto di più del succitato “Cerchio Magico” diventato una comica planetaria, il fare tutto italiano di comportarsi della parte superiore della nostra Penisola non dissimile dall’esecrata Italia che va “dalla cintola in giù”, di dantesca memoria. Dal Meridione intendevano distaccarsi “cattivi-cattivi” - come direbbe il Benigni - a motivo dei latrocini, delle mafie, delle furberie e dell’oltraggio alla storia e alla geografia della Padania. Tanto da agognare perfino una secessione dalla “ladrona” che aveva il ventre a Roma e le fauci nel Lombardo-Veneto che lavora e che produce. Si sono invece rivelati “italiani” come tuti gli altri, si ironizza nella piccola isola di Cipro.
Di politico nel “cerchio magico” sembra che non ci fosse proprio nulla. Ci tenevano solo alla famiglia, e per la famiglia anche il Bossi ultima edizione - dopo le gogne giudiziarie, si capisce! - ammette che si può sbagliare. Una cosa sacrosanta. E tutta italiana, senza distinzioni geografiche.
Ma allora…se nudi o denudati siamo alla fine tutti uguali, c’era proprio bisogno di proclamare la secessione dalla casa comune? Ladri di qua e ladri di là del Po…lo siamo ormai di diritto!. Dove sta allora la novità? Gratta gratta la trovi nello zoccolo duro dei “barbari sognatori”, i vichinghi cattivi-cattivi benignani dell’interno delle valli bergamasche - quelle che il Capo minacciava di far intervenire con forconi, pale e bastoni se non proprio con le baionette - che si sentono puri duri e rudi anche nel linguaggio, vantandosi di essere una razza superdotata, che a dirla con il Capo: “Ce l’abbiamo duro-duro-duro”. Una diversità davvero straordinaria!
Da qui, tra un ghigno e l’altro, i ciprioti della dea Afrodite deducono che per i duroni di Bossi fu davvero impossibile essere colonizzati dai Greci come il resto degli italioti. Per questo motivo fa difetto in loro la cultura, l’estetica e le buone maniere, concludono. Dovevano stare ancora sulle palafitte, dice un vecchietto arzillo con due denti in meno sul davanti, quando i Cretesi approdarono nelle vostre PUGLIE, etimologicamente terre dove non pioveva mai. Scoprirono questi cretesi meridionali che il mandorlo, l’ulivo, il ciliego la vite e i noci non avevano bisogno di molta acqua, perchè intuirono che ce n’era abbastanza sotto il suolo, nelle sacche delle grotte e degli anfratti rocciosi che rendevano umidi i “fondovalle” delle murge e perciò sufficientemente fertili in tutte le stagioni dell’anno. Nei secoli successivi, i loro discendenti inventeranno perfino uno stile di chiesa tutto pugliese, quello dell’arco che da romanico si appunta in cima e preannuncia il gotico. Le città della pianura padana lo svilupperanno per proprio conto ai tempi in cui le arti nobili non erano ancora dammeno di quella meno nobile della guerra tra le città o i comuni medievali.
Per tornare al “cerchio magico, nell’isola di Afrodite si si fa ancora gossip su altri tentativi dei leghisti (poco o niente legali, naturalmente!) di nascondere fondi in Africa e perfino nelle banche del Maragià dell’India. Erano soldi loro e potevano farne quello che volevano, dicono oggi quelli delle “scope”. Erano in realtà i soldi di tutti gli Italiani anche di quelli “dalla cintola in giù”, coloro da cui secessionare, per intenderci. Soldi che erano stati distribuiti generosamente ed equamente dallo “stato unitario” ad ogni partito politico, da usare per le sezioni locali e la propaganda di partito. Sembra invece dalle facce smorte dei luogotenenti - tenuti fuori dal cerchio magico - che patissero di un’endemica quaresima.
I Ciprioti riconoscono ai leghisti, tornati dalla “cura” nudi come il comune padre Adamo, che sono stati almeno i primi in Italia a voler fare pulizia, in maniera forte, rude, dura e pura… come da copione. Per questo hanno riscoperto la scopa e l’agitano come simbolo di pulizia, che sa mettere cioè ogni cosa in ordine come quella della Befana che atterra “di notte con le scarpe tutte rotte”. Le manca sempre il tempo, povera vecchia, di rifarsi il look! Patetica reazione ad una realtà che ancora non vogliono riconoscere per quella che è. Intanto, mano alla scopa!
Il suo manico, epifanico oppure no, è duro…anche più dell’altro srumento usato e abusato a destra e a manca in tutti i comizi del Capo, incoraggiato dagli applausi esagitati della fila di dietro e della platea davanti. Il duro della scopa, si legge, hanno deciso di usarlo prima di tutto come grimaldello sulla testa dei rampolli del “cerchio magico”, perché si pentino dei loro peccati, poi su quelle dei militanti del Carroccio di Alberto da Giussano perché rinsaviscano una volta per sempre dai riti-fumogeni dei Nibelunghi evocati dalle maghe del Cerchio e dalle allegre scampagnate alle sorgenti del Po.
Sfogo di un Terrone? Per carità! Tracce terronie si trovano perfino nel “cerchio magico” a cominciare dalla moglie del Capo e dai faccendieri principali con ascendenti calabresi e pugliesi. Tutti bravi italiani, ve lo dico io che me ne intendo!. E tutti hanno famiglia. E per la famiglia cosa non si fa!
Il nuovo Alberto da Giussano ha dichiarato: Mai più meridionali “infiltrati” nella Lega. Bella trovata! Peggio è andato il tentativo di quei succitati ed eccitati meridionali-legisti-faccendieri (auri sacra fame?) di voler colonizzare il Nord con una cultura non propria… tradendo quella greca a cui appartenevano che ammaliò perfino i Romani.
L’isola di Cipro è così vicina e così lontana dall’Italia. Il meticciato, frutto delle nuove “invasioni barbariche” dal sud del mondo, ne faranno una nazione nuova, forse diversa ma certamente migliore di quella del “Cerchio Magico” e dell’esecrato fratellastro italiota.
Da un meridionale preoccupato
Cipro, 25 Aprile 2012
Anniversario dell’Italia liberata…
La Festa d'Aprile vista dall'isola di Cipro - 14 aprile 2012
Il lavoro che faccio non mi consente di celebrare regolarmente con voi la Festa di Aprile, datata l’ultima domenica del mese primaverile in cui i Castellanesi venerano la Protettrice della loro città. La Vergine Maria, secondo una ben fondata tradizione, la liberò dalla peste nel XVII secolo e d’allora si compiace di abitare con i suoi figli nel convento della collina degli Alcantarini, i famigliari frati dell’Ordine Francescano dei Minori.
Tra le tante feste che ho conosciuto in vari paesi del mondo, la nostra Festa di Aprile - sia per ragioni affettive che per la sorprese folckloristiche di cui almeno in Italia è nota (ma sembra che le abbiamo ereditate dagli Spagnoli che in Andalusia la svolgono oggi con caratteristiche locali un po’ differenti) - è ricordatata dai Castellanesi d’oltre mare soprattutto per la caratteristica “Sfilata di Gala” di tutti i santi venerati nella città. Le statue, il cui numero varia ogni anno e mi dicono che stia addirittura crescendo non a motivo della cresciuta devozione dei fedeli ma allo scopo di incrementare l’interesse dei turisti e dei pellegrini che arrivano da tante altre parti della regione e perfino dall’estero, vengono allineate nel vasto piazzale antistante la Chiesa Madre. A metà giornata, il tempo permettendo, le statue sfilano una dopo l’altra precedendo il clero ma non la Vergine Veterana, che da grande Signora qual è segue il clero e precede la linea dei reggitori della città e le bande musicali.
Il termine “Veterana” piace a molti Castellanesi, me compreso. Non che il titolo della Madonna della Vetrana ci rimetta troppo nella reputazione. La “vetrana” era il nome che i Castellanesi avevano dato alla peste. Sotto la statua della Vergine si nota ancora un omino tutto nero come uno spazzacamino e con le mani rivolte verso la Protettrice a rappresentare quella tremenda pestilenza che aveva seminato morte in tutta la regione. Da bambino, e credo lo abbiano provato e lo provano ancora oggi i bambini castellanesi, sentivo una tremenda paura di quell’omino tenebroso che appariva anche nelle notti di incubi e di fantasmi. Doveva essere per forza il demonio. Solo che dai suoi capelli neri e arruffati non avevamo mai visto spuntare le corna. Vedete cosa può combinare la paurla nella testa di un bambino!
Ma la Festa di Aprile non sarebbe mai stata tanto memorabile per i Castellanesi che vivono la maggior parte della loro esistenza all’Estero se non ci fossero state e ci sono ancora altre tre cose a compimento dell’annuale celebrazione. Memorabile, almeno per noi che la vediamo raramente, oltre al “Gala” è l’illuminazione. Non so se la ditta Faniuolo di Putignano continua a gestire l’impianto delle coloratissime lampadine che formano archi e passaggi fiabeschi per i nostri ospiti celesti e per i devoti terrestri che almeno in questa occasione si riempiono gli occhi di celesti visioni anche loro.
I posti di osservazione migliori sono prima di tutto il Corso Principale del paese, quello “di vigne a’ chiazze” che termina alla Villa Comunale dove a metà del percorso si erge, nei pressi della Chiesa di San Francesco e del Municipio, un’orchestra monumentale per gli altrettanto monumentali concerti della sera, molto attesi dai Castellanesi. L’altro posto di osservazione è Piazza Garibaldi, e ne cito il nome a differenza di quello del Corso Principale sul quale molti cittadini non consentono. In Piazza Garibaldi la Processione cederà il passo e la gola alle tante tentazioni che oggi vengono ammansite in quasi tutte le feste cittadine dell’orbe terraqueo. Sono rimaste ad occupare il primo posto le tradizionali nocelline e gli arachidi, i lupini e i semi di ogni genere…cose straniere, che non eguaglieranno mai le nostre mandarle e le noci e le olive verdi e nere conciate in modo diverso.
Ho già citato la presenza del podio per l’alternarsi dei concerti bandistici. L’alta e bassa gleba qui si accomunano e si amalgamano per il generale interesse e conoscenza dei testi musicali. Si asomigliano agli “allibrati” del Teatro Verdi di Parma, a quei popolari delle balconate che fanno la fortuna e il tormento dei cantanti lirici. La loro bocciatura segna la rovina definitiva dei debuttanti. Guai a steccare!
E vengo, se non vi siete ancora annoiati, all’ultima cosa memorabile della Festa di Aprile. L’avete già capita, perché si tratta proprio dei “fuochi pirotecnici” , quelli che sono diventati sempre più arditi e più fantasiosi con fontane luminose, funghi e fiori di luci multicolori che si alternano, si incrociano, nascono uno dall’altro e ricadono in picchiata sulla terra per dare posto ad altre immagini e ad altre emozioni. E noi con il naso all’insù, come i nostri bambini e i nostri nipoti in un rifugio quasi onirico nell’innocenza liberatoria dell’infanzia.
Ah. Oh. E poi tutti a casa per rivisitare in differita tutto il repertorio della Festa di Aprile. Forse voi che la celebrate ogni anno e ne vedete gli sviluppi e le novità potreste aggiungere qualcosa in più a questa rimembranza, forse un pò all’antica, o datata come dicono oggi, conservata devotamente nella naftalina. Come sacerdote dovrei ricordare anche la “Scola Cantorum” e le messe cantate. Ma queste le faccio qui anch’io…e non vorrei creare gelosie, quanto siete bravi voi e quanto lo sono i mei parrocchiani intercontinentali. Intanto, buona Festa di Aprile.
Cipro, un'isola generosa - 9 aprile 2012
Memore dell’antico legame con la madrepatria di cui per millenni aveva beneficiato della civiltà, religione, cultura e arte, in questi giorni si è mobilitata tutta l’isola di Cipro per inviare alla Grecia, prostrata da gravissimi problemi economici, aiuti d’ogni sorta, soprattutto carne, cereali e frutta dei quali questo piccolo stato europeo è provvidenzialmente ricco.
La mitologia aveva fatto di Cipro la culla della dea Afrodite, la Venere latina. Nel tempo l’avevano colonizzata oltre ai Greci e ai Romani, le repubbliche marinare della nostra Italia, i Crociati dopo la loro definitiva sconfitta in Galilea da parte del Sultano Saladino e delle sue armate musulmane, fino alla definitiva conquista da parte della Mezzaluna di cui rimangono molti e laceranti vestigia.
La Chiesa di Holy Cross, la Parrocchia Latina nel cuore dell’antica capitale Nicosia, è testimone dellutimo retaggio lasciato da due culture e da due forze contrapposte: un lungo muro sormontato dal filo spinato e circondato da edifici semidistrutti dalla guerra d’indipendenza (1960) che ha segnato la divisione tra due stati nemici, quella di influenza greco-britannica al sud (quasi l’80% del territorio) e l’altra di inflenza turca al nord, che continua a non riconoscersi e a non essere ancora disponibile per una integrazione concordata.
I soldati dell’ONU, oggi ottomila, vigilano sulle due parti della capitale e sui confini geografici naturali dei due stati. Li sorvegliano di notte e di giorno, in attesa che anche la parte turca dell’isola possa sentirsi cipriota assieme a quella greca che è già in Europa, come all’Europa sogna di appartenere anche la Turchia che guarda quest’isola da poche centinaia di miglia di distanza. La stessa distanza Cipro la mantiene dalla Siria e dal Libano, un po’ di più da Israele. Le sue coste hanno di fronte un mondo in subbuglio e in cerca di una nuova identità.
Tra le tante mete delle migliaia di sfortunati cittadini del mondo medio-orientale, asiatico e africano in fuga dalle guerre, dalle persecuzioni e dalla fame verso l’Europa, la prima è proprio quest’isola a cui essi cercano di approdare. Per loro i Francescani cattolici e le chiese cristiane greco-ortodossa maggioritaria, maronita, anglicana e armena offrono un’ospitalità cordiale ed efficiente, destreggiandosi in una burocrazia altrettanto efficiente e non sempre cordiale - come avviene in altri paesi europei - che vorrebbe arginarne l’afflusso e la permanenza di questi ospiti-emigranti nell’isola. Alcuni vi entrano e vi restano nascosti come clandestini.
La parrocchia di Holy Cross gestisce una rete di servizi a favore di questi ultimi e anche per le varie migliaia di stranieri che usufruiscono di un permesso di soggiorno temporaneo ed estendibile caso per caso, soprattutto grazie alle garanzie di autorevoli associazioni per i migranti che si prendono cura del loro arrivo e della loro partenza dall’isola. La parrocchia ha aperto un ufficio per i migranti presso un’antica e benemerita istituzione diretta dalle Suore di San Giuseppe che una volta ospitava un edificio scolastico e uno studentato per le ragazze che desideravano consacrarsi al Signore nel loro Istituto. Tre suore della Congregazione Singalese delle Sisters of Perpetual Help li assistono invece a domicilio nelle quattro parrocchie servite dai Francescani ed ovunque essi si trovino. Questi emigranti provengono dallo Sri Lanka, dall’India, dalle Filippine e da alcuni paesi dell’Africa Occidentale.
I Filippini costituisco il gruppo più numeroso. Come è loro costume in ogni paese dove offrono il loro prezioso servizio di assistenza agli anziani e ai disabili, amano trascorrere il giorno libero, che corrisponde ai weekend e soprattutto alla domenica, nella parrocchia di Holy Cross e nelle sue adiacenze. Riempiono con la loro presenza le assembleee liturgiche, le associazioni carismatiche e, assieme ai cattolici di origine cipriota, molte altre iniziative di carattere comunitario e assistenziale come i mercatini a favore delle famiglie più povere ed i concerti per raccogliere fondi a favore della Caritas parrocchiale.
Le Suore Francescane presenti a Nicosia, a Larnaka e a Lemesos gestiscono scuole di ogni ordine e grado per varie centinaia di alunni appartenenti a diversi gruppi sociali ed etnici, nonché istituti per anziani e centri ricreativi per la gioventù. Il Governo apprezza molto l’opera delle Chiese in quest’isola evangelizzata da San Paolo e dal cipriota San Barnaba. L’apprezzamento, naturalmente, come è significato da questa stessa parola…non ha prezzo, oltre all’immensa riconoscenza da parte delle famiglie che in tempi di magra (non diversamente da tutte le istituzioni private dei paesi europei e del resto del mondo) devono provvedere della pur modica retta scolastica ai loro figli. Per questi studenti, e per le opere sociali gestite dalla Caritas parrocchiale, stanno mobilitandosi alcune Onlus italiane e internazionali. Le emergenze sono tante e i servizi hanno bisogno di solidarietà soprattutto per i meno abbienti, che rappresentano la maggior parte dei beneficiari che appartengono a migranti sposati e domiciliati nell’isola di Cipro con un reddito abbastanza basso, come è quello degli operai o degli stagionali che prestano servizio agli hotels della costa solo durante il periodo estivo.
Un fraterno saluto da Nicosia e da Cipro, l’isola che guarda ai paesi dell’altra costa con vigile preoccupazione. Le sorti dei popoli sono nelle mani di Dio che però ispira percorsi e mete intermedie verso una completa comunione di popoli e di nazioni che auspichiamo vicina. L’attesa di una pace condivisa ci veda impegnati nella solidarietà tra fratelli che compiono lo stesso pellegrinaggio verso il traguardo di “nuovi cieli e di una nuova terra”.
Mi presento - 9 aprile 2012
Scrivo per la prima volta per questo sito www.vivicastellanagrotte.it che credo ogni castellanese conosca. Io non lo conoscevo ancora e ringrazio un amico dell’assaggio che mi ha inviato. Sono il missionario castellanese P.Vito Scagliuso che molti conoscono anche per il ricordo filiale che mai manca nei miei libri. Su proposta del PIVOT e dell’Università degli anziani mi onorarono nel febbraio del 2008 di una targa come “una vita per Castellana”. Forse perché sono rimasto castellanese anche se ho lavorato in Indonesia, ho fatto il commesso delle Pontificie Opere Missionarie in altri paesi del mondo come Giappone, India e Regno Unito per circa sette anni, finalmente una ventina d’anni in Sierra Leone (Africa occidentale) in uno dei momenti più tragici della sua storia, una guerra civile durata dieci anni.
Da quattro anni lavoro per la Custodia di Terra Santa, impossibilitato com’ero a tornare in Africa per motivi di salute e di un capriccio della sorte con la soppressione delle opere della mia ultima Missione. Dovevo lavorare per qualche anno solo in Tiberiade (Galilea) per aiutare il nostro compaesano P. Stefano De Luca, noto archeologico della Custodia Francescana, nella cura della parrocchia dedicata a San Pietro. Dopo un anno di lavoro mi inviavano a Nazareth ed ora nell’isola di Cipro, servendo come segretario anche la Nunziatura Apostolica, cioè l’Ambasciata del Vaticano a Cipro. Porrò fine a questa attività permessa dal mio istituto solo nell’estate del 2013. Poi si vedrà, se ristipulare il contratto con la Custodia di Terra Santa o tornare in Missione, forse nel Regno Unito o in America a motivo dello sconquasso operato dalla malaria in tanti anni di esposizione alla zanzara killer. Collaboro con l’Ambasciata Italiana a per qualche iniziativa a favore dei connazionali che lavorano a Cipro. Ho inviato al vostro www.vivicastellanagrotte.it già un articolo su Cipro e le attività della chiesa di Holy Cross, dove il papa Benedetto celebrò due anni fa il Sinodo dei Vescovi del Medio Oriente. Di foto ne pubblico a centinaia, e Antonino Piepoli ha il consenso di accedere a Facebook e usarne alcune a piacimento. Ringrazio www.vivicastellanagrotte.it per questa occasione fortuita. Vi faccio i migliori auguri di Pasquetta o Lunedì di Pasqua. Un saluto dal castellanese che fa il castellanese all’estero, vivesse anche tra gli Zulù e nella Pampa Argentina.
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