Per la XLIII edizione del Festival della Valle d'Itria di Martina Franca, nell'area antistante la casina padronale di Masseria Luco, nel cuore della Valle d'Itria, è andata in scena "Le donne vendicate", interezzo comica in due atti a quattro voci del compositore barese Niccolò Piccini.
Per il quarto anno, la kermesse martinese ambienta uno dei suoi scelti appuntamenti nell'agro e, per la quarta volta, alto il gradimento del pubblico convenuto. Accompagnate dall'Orchestra ICO della Magna Grecia a ranghi completi, caratteristica nuova per gli appuntamenti in trasferta del Festival, diretta dal giovanissimo Ferdinando Sulla, due ore di leggerezza nell'accezione migliore del termine.
Andata in scena per la prima volta nel 1763 al Teatro Valle di Roma durante il Carnevale, l'opera "Le donne vendicate", su libretto di Giuseppe Petrosellini, appartiene al genere comico dell'intermezzo tipico del periodo romano del compositore: pochi personaggi, tutti interpretati da uomini - nella Roma papalina le donne venivano sostituite da castrati - andavano in scena come intermezzo, appunto, tra gli atti di una commedia di parola. La storia è tratta dal dramma giocoso di Carlo Goldoni "Le donne vendicate" del 1751, un racconto più ampio, in tre atti, con ben otto personaggi. Nelle messe in scena e nei riadattamenti, questo accorcia e allunga, taglia, copia e incolla era pratica estremamente comune, persino da parte dello stesso librettista.
Semplice l'intreccio: Lindora, donna frivola e Aurelia, acculturata sognatrice, sono innamorate entrambe del conte Bellezza. Quest'ultimo le mette alla berlina definendole, al pari di tutte le donne, ipocrite e infide: Ma il labro è menzognero / l'occhio non dice il vero / il pianto è ingannatore / il riso è traditore / insomma, tutto, tutto / è pien di falsità.
Il padrone di casa Ferramonte, zio di Lindora e spasimante di Aurelia si offre di riscattare l'onore femminile, ma ha più pancia che coraggio. Sentendosi archiviato, il conte Bellezza minaccia di morte Ferramonte e l'accompagnatore di Lindora. Tra tira e molla, alla fine è solo Aurelia a mostrare di avere fegato, sfidando apertamente il conte Bellezza. Il moderno Narciso scappa, ma a consolarlo di penserà Lindora, messaggera di pace da parte di tutte le donne nei confronti del superbo abbattuto. Ad Aurelia non resterà che sposare il pavido Ferramonte, figura nella quale riecheggia il miles gloriosus di plautiana memoria: Non conoscete ancora / il valor del mio braccio? / Niun v'è che mi contrasti. / Ferramonte son io: tanto vi basti.
Sposarlo, per Aurelia, è rinsavire, abbandonare i cavalieri erranti per abbracciare la realtà: La destra vi dono / già sposa vi sono / non vuò più romanzi / non vuò più studiar. Questo doveva essere il destino auspicabile di una nubile dell'epoca: abbandonare i libri e accasarsi.
Quattro i protagonisti, tutti molto credibili: Manuel Amati, tenore martinese appena ventenne proveniente dall'Accademia del Maggio Musicale Fiorentino, nel ruolo del conte Bellezza, moderno Narciso restìo ad arrendersi alle lusinghe del gentil sesso per amore della sua immagine riflessa. Si tratta del ritratto caricaturale del libertino, il filosofo-seduttore che in spregio alle regole della morale insegue il proprio piacere.
Accanto a lui, tre talenti dell'Accademia "Rodolfo Celletti": Ferramonte, interpretato da Carlo Sgura, pavido antieroe, Aurelia, impersonata da Barbara Massaro, che insegue ideali di cavallereschi onori e vendette e Lindora, il vivace soprano Chiara Iaia.
A tenere alto l'umore degli spettatori in attesa della messa in scena ed efficace spalla comica dei protagonisti, Marco Fragnelli. Il progetto registico di Giorgio Sangati - talento coltivato al Piccolo Teatro di Milano dal maestro Ronconi, assecondato dalle scarne scene di Alberto Nonnato, ha consentito un produttivo dialogo con i luoghi, parte integrante del racconto. Una verosimiglianza rafforzata dalla scelta stilistica Art Nouveau del costumista Gianluca Sbicca che proietta in avanti di quasi due secoli l'intreccio, tentando un parallelismo, supportato dalle figuranti nel ruolo di sostenitrici della causa femminile, con il movimento delle suffragette. Ma la causa è di facciata. Lindora, infatti, briga sottobanco per accaparrarsi lei sola le attenzioni del conte Bellezza dopo avergli creato il vuoto attorno: Se l'abbandonan tutte, il Conte è mio.
Se per costumi e attrezzeria si è attinto al patrimonio del Piccolo Teatro di Milano, il rapporto con il tempio dell'arte scenica è destinato a durare. Alla firma, infatti, un rapporto di collaborazione tra il Festival della Valle d'Itria e la Fondazione "Paolo Grassi", nel nome di uno dei numi tutelari della kermesse martinese.
Non possiamo non dire, infine, dell'ambientazione, la sontuosa Masseria Luco in agro di Martina Franca, lungo la via per Noci. Edificata tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, Masseria Luco ha struttura a corte, con due corpi architettonici distinti: l’imponente casa padronale, un un bon répos di gusto estremamente raffinato e l’antica vaccheria, un insieme di dodici coni coeso a staffa di cavallo. Al di là dell'ampia aia, vi è un raro esempio di arnia e una cappelletta affrescata dal Carella. Degno di nota è il panorama, esclusivo affaccio sulla serena Valle d'Itria.