Racconto per immagini della manifestazione, ideata e organizzata da ViviCastellanaGrotte, Donne - parole e musica in festa tenutasi l'8 marzo 2015 a Palazzo Municipale.
(Foto Michele Micca Longo)
I Saluti delle Istituzioni - assessore Giovanni Romanazzi, sindaco Francesco Tricase e assessore Maurizio Pace
Luciano Magno, ottimo e brillante presentatore
Ilaria Mongelli e Marina Proietto, preziose collaboratrici di ViviCastellanaGrotte
Folto e attento il pubblico in sala
Mariella Di Battista in “Preghiera ad Afrodite” di Saffo
Afrodite immortale dal trono variopinto,
figlia di Zeus tessitrice d'inganni, ti prego,
non piegarmi con affanni ed angosce
l'animo, o veneranda;
orsù vieni qui, se mai anche un'altra volta
udendo il mio grido da lontano,
(l')ascoltasti e, abbandonata la casa dorata del padre,
giungesti
dopo aver aggiogato il carro: ti conducevano i bei
passeri veloci sulla nera terra
sbattendo fitte le ali dal cielo
attraverso l'aere;
subito giunsero: e tu, o beata,
sorridendo col volto immortale
(mi) domandavi che cosa ancora avessi patito e perché
ancora (ti) chiamassi
e che cosa soprattutto desiderassi ottenere
con animo folle: "Chi di nuovo devo convincere
ad accettare il tuo amore? Chi, o Saffo, ti fa torto?
E infatti, se fugge, presto inseguirà,
e se non accetta doni, poi (ne) offrirà,
e se non (ti) ama, presto (ti) amerà
anche contro voglia"
Vieni ancora da me e liberami dai penosi
affanni e quanto il cuore desidera compiere,
compilo per me e tu stessa
sii (mia) alleata.
Maria Serena Ivone in “O erta felice” di Alda Merini
O erta felice,
o clamide della mia menzogna,
tu, falso Nerone
che gemi tra le mie braccia,
che voglia ho di gridarti il mio sdegno.
Sono una devota felice
che cerca scarpe spaiate,
che mette le scarpe degli altri
e cammina su viottoli non suoi.
Il mio paese è altrove,
paese della dimenticanza,
il giudizio degli altri non importa
e dopo che tu sei morto
non mi importa il giudizio divino.
Tu, Dio, mi destinasti ai poemi
e per queste grandi vicende
mi hai dato tenebre grandi,
il male oscuro mi sorveglia di notte
ed è come una grossa arpia
con ali di diamante.
Mi prende il veleno della tua giovinezza
e mi dà monete sonanti,
ma vado alla banca dei pegni
e trovo il mio conto scoperto.
Margherita Manghisi in"C'è chi" di Wislawa Szymborska
C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.
È tutto in ordine dentro e attorno a lui.
Per ogni cosa ha metodi e risposte.
È lesto a indovinare il chi il come il dove
e a quale scopo.
Appone il timbro a verità assolute,
getta i fatti superflui nel tritadocumenti,
e le persone ignote
dentro appositi schedari.
Pensa quel tanto che serve,
non un attimo in più,
perché dietro quell’attimo sta in agguato il dubbio.
E quando è licenziato dalla vita,
lascia la postazione
dalla porta prescritta.
A volte un po' lo invidio
– per fortuna mi passa.
Francesca Franzoso in “La vergine ventenne” di Ada Negri
La vergine ventenne
ch'io fui, splendente come torcia accesa
nel sole, ora dov'è? Del suo bel sangue
nutriva ogni atto dell'acerba vita;
e dalla gola, liberato in canto,
le sgorgava echeggiando a monte e valle.
Ove scomparve, ella che fu sì certa
di non morire? Non morì. Rimasta
è nella scabra terra
presso il fiume che mormora e serpeggia
in tortuose spire oltre le grandi
foreste: intatta giace
fra tremolii di fronde e scorrer d'acque.
Al suo rifugio gli uomini dei boschi
vengon con felci e rami di betulle:
e il battellier che approda
dall'altra sponda, fasci d'alghe e steli
d'erbe apporta, raccolti sulla riva.
Calmo è il sonno di quella ch'io già fui
nella terra che suona ancor del canto
de' miei vent'anni - e, sole o pioggia o neve,
il mio volto d'allora ha quella terra.
Valentina Munerotto in “Se tu venissi in autunno” di Emily Dickinson
Se tu venissi in autunno,
Io scaccerei l’estate,
Un po’ con un sorriso ed un po’ con dispetto,
Come scaccia una mosca la massaia.
Se fra un anno potessi rivederti,
Farei dei mesi altrettanti gomitoli,
Da riporre in cassetti separati,
Per timore che i numeri si fondano.
Fosse l’attesa soltanto di secoli,
Li conterei sulla mano,
Sottraendo fin quando le dita mi cadessero
Nella Terra di Van Diemen.
Fossi certa che dopo questa vita
La tua e la mia venissero,
Io questa getterei come una buccia
E prenderei l’eternità.
Ora ignoro l’ampiezza
Del tempo che intercorre a separarci,
E mi tortura come un’ape fantasma
Che non vuole mostrare il pungiglione.
Franca De Bellis in “Così arrivi, come sempre” di Patrizia Cavalli
Così arrivi, come sempre,
a spargere il sospetto del paradiso,
e prima ancora di aprire la finestra
ti riconosco dalla luce più lenta
dai pulviscoli sospesi e senza direzione
dalla replica ossessiva degli uccelli,
e se non fossero gli uccelli sarebbe un'altra cosa,
per ogni posto hai le tue specialità;
e quando entri e ti lascio i miei sensi
riabito case sconosciute e ho nostalgia
di cose mai avvenute. E attraverso i tuoi labirinti
sospingi addosso a me i continenti e le stagioni
e io divento la parete degli urti e dei rimbalzi
l'appoggio dove cominciano le fughe
fino al risucchio silenzioso dell'estate.
Marika Delfine in “Da quanto tempo te ne sei andato?” di Alfonsina Storni
Da quanto tempo te ne sei andato?
Quasi non ricordo. I giorni scendono, uno dopo l'altro, a coricarsi nella loro ignota tomba senza che io me ne accorga.
Dormo.
Ma non illuderti: se un giorno mi ha incontrata per strada e ti ho guardato,
i miei occhi erano ciechi e non vedevano.
Se ti trovai in casa di amici e ci parlammo, la mia lingua disse parole prive di senso.
Se mi desti la mano e io te la diedi, in un luogo qualunque, erano i muscoli, soltanto quelli, che si stringevano.
Marika Mazzara in “Silenzi” di Lalla Romano
D’estate, nel silenzio dei meriggi,
sopra la terra esausta ed assopita,
incombe il peso d’una enorme assenza.
Ma dai grandi silenzi dell’inverno,
sopra la terra rispogliata e nuda,
infinita certezza si disserta.
Tutto perdemmo: fu sprecato il tempo
Sì breve del fiorire, ma ora il cielo,
non più velato dalle foglie, immenso,
di luce inonda gli orizzonti, e nulla
fuorché il cielo è vivente sulla terra,
una più vera vita è in questa morte.
Francesca Franguelli in “Frammento 31” di Saffo
Mi sembra pari agli dei quell'uomo
che siede di fronte a te e vicino ascolta te
che dolcemente parli
e ridi di un riso che suscita desiderio. Questa visione
veramente mi ha turbato il cuore nel petto:
appena ti guardo un breve istante, nulla
mi è più possibile dire,
ma la lingua mi si spezza, e subito
un fuoco sottile mi corre sotto la pelle,
e con gli occhi nulla vedo,
e rombano le orecchie,
e su me sudore si spande, e un tremito
mi afferra tutta, e sono più verde dell'erba,
e poco lontana da morte
sembro a me stessa.
Melania Longone in “Io come voi sono stata sorpresa” di Alda Merini
Io come voi sono stata sorpresa
mentre rubavo la vita,
buttata fuori dal mio desiderio d’amore.
Io come voi non sono stata ascoltata
e ho visto le sbarre del silenzio
crescermi intorno e strapparmi i capelli.
Io come voi ho pianto,
ho riso e ho sperato.
Io come voi mi sono sentita togliere
i vestiti di dosso
e quando mi hanno dato in mano
la mia vergogna
ho mangiato vergogna ogni giorno.
Io come voi ho soccorso il nemico,
ho avuto fede nei miei poveri panni
e ho domandato che cosa sia il Signore,
poi dall’idea della sua esistenza
ho tratto forza per sentire il martirio
voltarmi intorno come colomba viva.
Io come voi ho consumato l’amore da sola
lontana persino dal Cristo risorto.
Ma io come voi sono tornata alla scienza
del dolore dell’uomo, che è la scienza mia.
Marisa Clori ne "Lo Stupro" di Franca Rame
Angela Visparelli in “No, tesoruccio, io non sono quella” di Anna Achmatova
No, tesoruccio, io non sono quella
che tu vuoi vedere in me.
Da molto tempo le mie labbra
non baciano, ma profetizzano.
Non pensare che nel delirio,
tormentata dall'estrema nostalgia,
io gridi a voce alta la disperazione:
questo è il mio mestiere.
Ma so insegnare
affinché l'inatteso accada,
come domare per sempre
colei che si è innamorata in un baleno.
Aspiri alla gloria? Allora chiedi
il mio consiglio: quella è una trappola
che non ha né gioia né luce.
Ebbene, ora torna a casa.
e dimentica il nostro incontro,
perché del tuo peccato, mio caro,
rispondo io davanti a Dio.
Antonella Basile in “Amor m'ha fatto tal ch'io vivo in foco” di Gaspara Stampa
Amor m'ha fatto tal ch'io vivo in foco,
qual nova salamandra al mondo, e quale
l'altro di lei non men strano animale
che vive e spira nel medesmo loco.
Le mie delizie son tutte e 'l mio gioco
viver ardendo e non sentire il male,
e non curar ch'ei che m'induce a tale
abbia di me pietà molto né poco.
Appena era anche estinto il primo ardore,
che accese l'altro Amore, a quel ch'io sento
fin qui per prova, più vivo e maggiore.
Ed io d'arder amando non mi pento,
pur che chi m'ha di novo tolto il core
resti dell'arder mio pago e contento.
Illa Sabbatelli in “Non darmi canti d'amore” di Alda Merini
Non darmi canti d’amore e non dirmi
che io sono fredda
né che porto ceste di oscuro silenzio
sulle mie fragili spalle.
Non dirmi che io mi sto risognando del vento,
non dire parole d’amore a specchio del vero
e di acque sicure.
Non dirmi che io sono maldestra nel programmare la folla
perché porto intorno dinieghi e vivo dorata di morte,
ma dimmi che ami cercare nel grembo di facili muse
parole che a notte sussurrano ambrosia infinita.
Non dirmi che io ti rinnego quando io continuo a cercarti
assiso sulle grondaie, seduto sopra la neve.
Marina Proietto in “Ed eccomi qui sola a udire ancora” di Evelina Cattermole Mancini - Contessa Lara
Ed eccomi qui sola a udire ancora
Il lieve brontolio de' tizzi ardenti;
Eccomi ad aspettarlo: è uscito or ora
Canticchiando co'l sigaro tra i denti
Gravi faccende lo chiamavan fuora:
Gli amici, a 'l giuoco de le carte intenti
Od un soprano che di vezzi infiora
D'una storpiata melodia gli accenti.
E per questo riman da me diviso
Fin che la mezzanotte o il tocco suona
A l'orologio d'una chiesa accanto.
Poi torna allegro, m'accarezza il viso,
e mi domanda se son stata buona,
senza nemmeno sospettar che ho pianto.
Sara Manghisi in “Parole a mia figlia” di Ada Negri
Figlia, che ridi ai figli tuoi: se penso
al tempo in cui, per nascere, me tutta
rompesti, e tale fu il dolor che forse
meglio la morte, e tale fu la gioia
che nulla essere può gioia più grande,
lontanissimo ormai sembra quel tempo,
e più di sogno che di verità.
se penso che tu sei vita vivente
di mia vita vivente, e che m'illusi
dentro l'anima tua fissar l'impronta
di me stessa, conosco il vano errore:
so ch' io son io, che tu sei tu; diverse:
e innanzi a questa umana legge, antica
come la terra che ci nutre, piego.
Pure, cessato io non ho mai d'averti
fra le mie braccia, ad onta del fuggire
degli anni: di cullarti sui ginocchi,
d'accompagnarti per la mano; e tu
così farai co' tuoi fanciulli, e un giorno
soffrirai com' io soffro, in te frenando
la sofferenza: in te dicendo: "è giusto".
Maria Chiara Ivone accompagna al violino la lirica di Ada Negri
Teresa Turi in “Fine” di Ada Negri
La rosa bianca, sola in una coppa
di vetro, nel silenzio si disfoglia
e non sa di morire e ch’io la guardo
morire. Un dopo l’altro si distaccano
i petali; ma intatti: immacolati:
un presso l’altro con un tocco lieve
posano, e stanno: attenti, se un prodigio
li risollevi o li ridoni, ancora
vivi, candidi ancora, al gambo spoglio.
Tal mi sento cadere sul cuore i giorni
del mio tempo fugace: intatti; e il cuore
vorrebbe, ma non può, comporli in una
rosa novella, su più alto stelo.