Prima assoluta mondiale a Palazzo Ducale per "Francesca da Rimini", dramma per musica in due atti del compositore altamurano Saverio Mercadante, su libretto di Felice Romani, edizione critica di Elisabetta Pasquini per Ut Orpheus.
Seconda proposta operistica della XLII edizione del Festival della Valle d'Itria di Martina Franca, messa in scena della tragica storia d'amore tra Paolo Malatesta, fratello del promesso sposo Lanciotto (al secolo Gianciotto) e Francesca da Polenta, resa immortale da Dante Alighieri nel V canto dell'Inferno, "Francesca da Rimini" sottolinea il tema portante del Festival, l'eros nelle sue mille visioni. Se La grotta di Trofonio, brillante prima dell'edizione annuale della manifestazione, archiviava patemi d'animo e tragedie in fìeri, nel consolatorio happy ending della comedia, qui si piange e si brama, si soffre e si muore. Non c'è scampo per gli amanti, né per il loro amore. Se Lanciotto s'augurava Oh, quante amare lagrime mi tergerebbe Amor, presto comprenderà che amore è infelicità, dubbio, tormento. A Paolo e Francesca, invece, Pur concedette Amore qualche dolcezza agl'infelici amanti! Compensa un sol contento eterni pianti.
Per loro, una felicità che dura un attimo, seguita dal dolore.
Inizialmente scritto per la corte spagnola, l'opera "Francesca da Rimini", datata 1831, non andò mai in scena, né a Madrid, né, più tardi, a La Scala. E mistero vige ancora sui motivi reali, s'ipotizza legati alle interpreti femminili Adelaide Tosi, prima e Giuditta Pasta, dopo. Va rammentato che i ruoli en travesti, al tempo della prima messa in scena, non erano più così popolari.
Curato, nella regia, nelle scene e nei costumi da Pier Luigi Pizzi, grande nome del teatro italiano, il lavoro è un'opera al nero, in molti sensi. Dal gioco di sottrazioni della scenografia, dominata da svolazzanti teli neri - rimando all'Averno dantesco - all'aspetto dei personaggi caratterizzati da cupe tonalità. Su tutti primeggia Francesca, rosso granato di passione. Al padre Guido, un porpora regale e luttuoso, a Paolo, un nero-azzurro a sottolinearne la qualità positiva, a Lanciotto, un nero-giallo di invidia e gelosia.
Un cast internazionale sul quale primeggiano le signore, va detto. Francesca, soprano spagnola Léonor Bonilla e Paolo, la mezzo-soprano di coloratura giapponese Aya Wakizono. Molto, molto convincenti, emotivamente davvero toccanti.
A loro s'affianca il turco Mert Süngü impegnato in un difficile Lanciotto dilaniato dalla gelosia, la bella voce di Antonio Di Matteo nel ruolo del padre Guido, Larisa Martinez nella fida Isaura e Ivan Ayon Rivas nel Guelfo.
Come in tutte le tragedie degne del nome, il Coro, questa volta giunto dalla Transilvania, il Cluj-Napoca diretto dal maestro Cornel Groza.
A dirigere l'Orchestra Internazionale d'Italia, il maestro Fabio Luisi, direttore musicale del Festival.
E se ci fossero solo loro sarebbe già bastato, ma c'erano i danzatori sulle coreografie di Gheorghe Iancu, ora ninfe virginali, ora soldati, ora suore, tra le quali Francesca si rifugia. E, su tutti, il magnifico duo, rappresentazione plastica della passione tra Ginevra e Lancilotto della quale, gli sfortunati Paolo e Francesca, sono intenti a leggere mentre Eros scocca il dardo. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse, di lì la grande felicità e la grande sventura per i due amanti.
E l'occasione per ascoltare, a secoli di distanza, del loro amore immortale, per più di tre ore, magnificamente eseguite.
Si replicherà il 2 e il 4 agosto, alle ore 21:00, a Palazzo Ducale.